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Afghanistan/3: Massimo Fini, la vittoria (postuma) del Mullah Omar e l’addio alle armi dell’Occidente

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Il polemista e saggista Massimo Fini ha dedicato diversi anni (e centinaia di scritti) alla guerra afghana. Essenziale, in questo senso, è il libello d’elogio al Mullah Omar, datato di oltre 10 anni. Il pezzo che segue, risalente al 2015, è invece altrettanto illuminante.

 

 Nell’“addio alle armi” degli eserciti occidentali in Afghanistan i media italiani ma anche i nostri Comandi militari hanno dato il meglio di sé. Ma mentre i Comandi avevano almeno l’attenuante di dover in qualche modo giustificare un’operazione sciagurata, devastante e in definitiva criminale, finita nella più disonorevole delle sconfitte, quest’obbligo la libera stampa non l’aveva.

È stata fatta un’incredibile confusione fra Talebani, Al Qaeda, Isis. I Talebani con Al Qaeda, Bin Laden e gli attentati alle Torri Gemelle non avevano nulla a che fare. Bin Laden i Talebani se lo sono trovati in casa quando il Mullah Omar, nel 1996, prese il potere. Ce lo aveva portato, dal Sudan, Massud, perché lo aiutasse a combattere un altro “signore della guerra”, Hekmatyar. Il Mullah Omar non aveva nessuna considerazione di Bin Laden, lo definiva un “piccolo uomo”, ma doveva tener conto che il Califfo saudita, con le sue ricchezze, aveva contribuito a costruire strade, ponti, case, e godeva di un certo prestigio fra la popolazione. Ma quando Clinton gli propose di far fuori Bin Laden Omar si disse favorevole e mandò il suo ministro degli Esteri, Muttawakil, a Washington per trattare la cosa, che gli interessava perché gli americani nel tentativo di colpire Bin Laden stavano bombardando a tappeto la regione di Khost uccidendo centinaia di civili afghani. Ci furono due incontri a Washington nell’inverno del 1998. Muttawakil fece due proposte: o sarebbero stati i talebani a dare al Pentagono la posizione esatta in cui si trovava Bin Laden o gli americani avrebbero fornito i missili necessari ai Talebani per sbrigare la faccenda. Ma pose una condizione: in un caso o nell’altro l’omicidio di Osama dovevano attribuirselo gli americani senza coinvolgere il governo talebano. Alla fine Clinton si tirò indietro. Questi sono documenti del Dipartimento di Stato Usa dell’agosto 2005. Ora, i colleghi hanno tutto il diritto di ignorare quello che scrivo io, però documenti ufficiali di questa importanza avrebbero almeno il dovere di leggerli. Comunque è stato chiarito in modo definitivo che la dirigenza talebana dell’epoca era del tutto all’oscuro degli attentati dell’11 settembre. E il Washington Post e il New York Times, meno servili verso il governo americano dei media italiani, hanno denunciato che l’attacco all’Afghanistan era stato progettato sei mesi prima dell’11 settembre.

Ancora più grottesca è la confusione fra Talebani e Isis. C’è una ‘lettera aperta’ del 2015 del Mullah Omar ad Al Baghdadi in cui gli intima di non tentare di penetrare in Afghanistan perché, dice, la nostra è una guerra di indipendenza che non ha nulla a che fare con i tuoi deliri geopolitici. Comunque sia, gli unici a combattere l’Isis in Afghanistan sono stati proprio i Talebani. E se finora non sono riusciti a sconfiggerlo del tutto è perché contemporaneamente dovevano tener testa agli occupanti e all’esercito “regolare” di Ashraf Ghani. Sbarazzatisi dei primi e fra non molto anche del secondo si sbarazzeranno anche dell’Isis.

Non è del tutto vero che nell’Afghanistan talebano le donne non avessero il diritto di studiare, tasto su cui si batte ossessivamente in Occidente. Le cose stanno in modo un po’ diverso. In un decreto talebano è scritto: “Nel caso sia necessario che le donne escano di casa per scopi di istruzione, esigenze sociali o servizi sociali (…)”. Il fatto è che i Talebani, nella loro indubbia sessuofobia, non volevano solo che fossero divise le aule fra ragazzi e ragazze, ma che gli edifici che ospitavano gli uni e le altre fossero separati e ben lontani. Ma, impegnati da Massud che non accettava la sconfitta, non ebbero il tempo di costruirli. Avevano altre priorità. Si può anche capirli.

È ancora più falso che i Talebani fossero appoggiati militarmente dal Pakistan o quantomeno dai suoi servizi segreti, l’ISI. Il Pakistan si limitò ad un aiuto diplomatico riconoscendo l’Emirato islamico d’Afghanistan. Peraltro il più devastante attacco militare alle popolazioni tribali, afghane e pakistane, che vivono nella valle di Swat, fu condotto dall’esercito pakistano, teleguidato dal generale Petraeus. Due milioni di profughi in due giorni. Se i Talebani avessero avuto l’appoggio dell’ISI sarebbero stati in possesso di missili terra-aria Stinger che convinsero i sovietici ad abbandonare il campo (“Quando vedemmo che cominciavano a cadere gli elicotteri e gli aerei decidemmo di lasciare l’Afghanistan”).

Parlando a RadioTre Gianni Riotta ha definito positiva l’operazione occidentale in Afghanistan. L’occupazione occidentale dell’Afghanistan è stata ancor più devastante di quella sovietica. I sovietici hanno fatto grandi danni materiali, ma non si erano messi in testa, a differenza di quanto abbiamo fatto noi, di corrompere gli afghani a suon di dollari per portarli dalla nostra parte. Quando non era ancora presidente dell’Afghanistan Ashraf Ghani, che non può essere sospettato di simpatie talebane, disse: “Nel 2001 eravamo poveri ma avevamo la nostra moralità. I miliardi di dollari che hanno inondato il Paese ci hanno tolto l’integrità, la fiducia l’uno nell’altro”. Riotta ha anche affermato che la nostra occupazione è stata determinante per la ricostruzione dell’Afghanistan. Se proprio non vuol leggersi l’ultimo capitolo del mio libro Il Mullah Omar (Come si distrugge un Paese), si vada a leggere per lo meno Caos Asia (2008) dello scrittore pakistano Ahmed Rashid. Riotta punta il dito sul fatto che l’Afghanistan è oggi il maggior esportatore mondiale di stupefacenti. Ma si dimentica di ricordare che fu proprio il Mullah Omar a proibire nel 2000/01 la coltivazione del papavero e a stroncare così il commercio dell’oppio, che cadde quasi a zero.

In Afghanistan noi italiani ci siamo comportati da alleati fedeli come cani degli Stati Uniti, seguendoli sino alla fine, ma allo stesso tempo, come sempre, sleali. Fin dall’inizio abbiamo fatto questo accordo con i comandanti talebani: loro non ci avrebbero attaccato e noi avremmo solo fatto finta di controllare il territorio. Il nostro ministro della difesa Guerini ha affermato che era nostro dovere di alleati Nato stare con gli americani fino alla fine. Anche questo è un falso. Gli olandesi hanno lasciato l’Afghanistan nel 2010. L’accordo con i Talebani si fece quasi da subito: “Quando nell’aprile del 2003 il primo gruppo di alpini della Taurinense si installa nella base di Khost, dando il cambio agli americani, il brigadiere generale Giorgio Battisti, che ne è capo, capisce subito che aria tira. E, attraverso un intermediario italiano di una ong chiede un incontro con il comandante talebano del luogo, Pacha Khan (…) l’accordo viene trovato: gli alpini faranno solo finta di controllare la zona e i Talebani li lasceranno tranquilli” (Il Mullah Omar). Tanti furono gli accordi felloni di questo tipo. Il più clamoroso viene a galla nel 2008 a Sorobi. I militari francesi sostituiscono quelli italiani che però non li avvertono dell’accordo sotterraneo. Poiché la zona è stata fino allora tranquilla i francesi non adottano precauzioni e, attaccati di sorpresa, subiranno la peggiore sconfitta dei cugini d’Oltralpe in Afghanistan. Il colonnello dei marines Tim Grattan dirà: “Stringere patti con i comandanti talebani è perdente. I nemici si combattono e basta”.

Nel 2002, quando Hamid Karzai diventa presidente dell’Afghanistan, sotto il diretto controllo Usa, la rivista Time mette la sua fotografia in copertina eleggendolo come “uomo più chic del mondo”. È con questa superficialità da stilisti che siamo andati in Afghanistan. Ed è per questa superficialità che abbiamo giustamente, molto giustamente, perso la guerra.

Massimo Fini

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