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Afghanistan/1, il generale Bertolini: guerra persa sul versante culturale

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Tra le tante riflessioni sulla guerra in Afghanistan di questi giorni, una delle più sagge ci è parsa quella dell’ex comandante della Brigata Folgore, generale Marco Bertolini, al Corriere della Sera. Eccone alcuni estratti.

 

Gli afghani di fronte ai talebani, una rotta drammatica e rapidissima. Come lo
spiega?

«Certamente la Nato e i nostri eserciti europei dovranno fare i conti con questa realtà.
Dovremo valutare i fallimenti e imparare per le prossime
missioni tra AfricaeMedio Oriente. Nella nuova operazione Takuba stiamo adottando gli stessi criteri di addestramento delle forze locali nel Sahel. In Libia sono stati i turchi ad agire militarmente al nostro posto. La lezione afghana va studiata. La spiegazione di questo disastro si articola su due livelli: uno politico e l’altro tattico-operativo. Noi miravamo a occidentalizzare l’Afghanistan cercando di imporre i nostri sistemi democratici. Ma loro hanno tradizioni del tutto differenti. Per esempio, non hanno partiti. I pashtun sono un’etnia legata a tradizioni locali, e così gli hazara o i tagiki. Ci siamo illusi che l’accoglienza calorosa riservataci dalle élite cittadine rappresentasse il Paese intero. Ma la maggioranza sta nelle campagne, sulle montagne, tra i villaggi e ci ha sempre guardato con sospetto, se non aperta ostilità. Tanti non capiscono l’insistenza sui diritti delle donne, la vedono come un’intrusione»

 

«Purtroppo la nostra è sempre stata una coalizione militareascartamento alternato. Gli americani, assieme agli inglesi, facevano la guerra nel senso completo della parola. Noi invece, assieme a tanti altri contingenti, insistevamo nel presentare le nostre operazioni come civili e di pace: portavamo libri ai bambini, costruivamo scuole, centri di assistenza per le donne. In certi momenti fu come se noi fossimo in Afghanistan unicamente per fare abolire il burqa, si era persa del tutto la dimensione militare. Certo che ogni tanto eravamo costretti a sparare. Ma alla nostra opinione pubblica dovevamo dire che lo facevamo solo per difenderci. Le nostre regole d’ingaggio erano disomogenee e per noi limitanti».

Nel caso una nostra pattuglia avesse incontrato sulla strada Osama bin Laden in person a non avrebbe mai potuto sparare per prima, ma limitarsi a rispondere al fuoco. Quando i nostri mezzi venivano danneggiati da tiri nemici il caso andava alla Procura di Roma per l’inchiesta e il mezzo veniva bloccato. Procedure normali in Italia, non in zone di conflitto. Nel 2014 la nostra missione si è trasformata da “combattimento” ad “addestramento” delle truppe locali. Ma i talebani hanno continuato a rafforzarsi».

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