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Addio a Massimo Bertarelli, stroncatore gentile che stette sempre (e con eleganza) ‘dalla parte sbagliata’

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MILANO – Mangia Prega Ama: «Al titolo manca di certo un quarto verbo: sbadiglia». This Must Be The Place: «Sean Penn? Con quella lunghissima chioma nera sembra il cugino scemo di Luxuria. This Must Be the Pacco». Melancholia: «Estenuante apologo del profeta di sventure Lars von Trier, nuovo alfiere dell’incomunicabilità, che racconta una doppia storia d’infelicità. Scene da un manicomio, per dirla col maestro Bergman. Indimenticabile la gara con i fagioli in un vaso: vince chi indovina il numero esatto. Ridateci la Carrà». C’era una volta in Anatolia: «Interminabile, lento e barbosissimo dramma turco, che come tutte le boiate d’autore è piaciuto da matti ai giurati del Festival di Cannes del 2011, tanto da vincere il Grand Prix. Peccato che il pubblico pagante non abbia il loro indirizzo: così le botte che prende il depresso assassino andrebbero meglio distribuite». The Master: «Sfibrante dramma del trombone Paul Thomas Anderson, pompato abbagliatore dei gonzi a suon di fumisterie e chiacchiere. Ne sono instancabili portavoce Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffman, Coppa Volpi ex aequo a Venezia 2012. Forse i giurati, in coma, non li distinguevano più».

Per chi se le fosse perse in vita (e non sa davvero cosa s’è perso, tanto più in una delle ‘branchie’ culturali dove il conformismo italiano e il pensiero progressista a senso unico ha generato veri ed autentici mostri), condensiamo in poche righe non certo e non già la summa, bensì un semplice estratto della carriera di critico cinematografico di Massimo Bertarelli, morto ieri a 76 anni, penna sulfurea (ma sempre intinta in un misto di curaro ed eleganza non affettata) del Giornale di Indro Montanelli sin dai suoi esordi, ossia il 1974. Anni del tutto irripetibili ed irriproducibili, come ci fa tornare spesso alla mente il nostro Emanuele Torreggiani.

Ossia quelli in cui- sulle colonne del quotidiano fondato da Indro Montanelli e Mario Cervi, con Massimo Bertarelli protagonista sin dagli esordi- si potevano leggere le firme di Egisto Corradi, Dan Segre, Cesare Zappulli, Enzo Bettiza, Guido Piovene, Raymond Aron, Alain De Benoist, Jean Francois Revel, Sergio Ricossa e molti altri.

Il gohta della cultura allora NON allineata a sinistra, un inimitabile compendio di grande giornalismo (e anche di letteratura) per il quale ogni italiano dovrebbe ringraziare il giovane editore liberale che finanziò per anni, e con miliardi di vecchie lire, un’impresa culturale perennemente coi bilanci in rosso, come accade pressoché sempre nell’editoria. Quel giovane imprenditore si chiamava Silvio Berlusconi, e solo chi non visse o non conosce il grigiore del conformismo culturale di quegli anni sa cosa significò e quanto valore ebbe il suo mecenatismo.

Nella redazione di via Gaetano Negri- attraversando i tetri e bui anni del terrorismo rosso a Milano e nel resto d’Italia, con Indro Montanelli gambizzato dalle Brigate Rosse in via Manin, sopravvissuto perché il suo giovanile trascorso nel fascismo lo convinse a preferire la morte in piedi, così rimase aggrappato ai cancelli e le pallottole non lesero organi vitali-  Massimo Bertarelli ha officiato per decenni come critico di cinema.

Fuori dal coro. In un mondo nel quale bastava produrre pellicole che avrebbero steso dalla noia un esercito, purché parlassero della magnifiche e progressive sorti, Massimo Bertarelli le cantava e le suonava. Con grande, siderale eleganza. Quella di un uomo nato sul finire della guerra da una famiglia della borghesia milanese, con la colpa (imperdonabile, agli occhi di certuni censori rossi) di venire ‘dalla parte sbagliata’, degli esuli in patria. Per ragioni familiari, estetiche eppoi culturali. Massimo Bertarelli fratello di Franco Bertarelli, nato 5 anni dopo, candidato alle elezioni regionali nel 1990 sotto le insegne del MSI-DN, tre anni dopo sindaco di Magenta nella prima,  storica giunta monocolore della Lega Lombarda.

Franco Bertarelli, l’uomo che il 25 aprile del 1994 sfidò migliaia di partigiani dell’Anpi (e il martello censorio del Maurizio Costanzo Show e della grande stampa) andando per primo, con tanto di fascia tricolore, ad omaggiare nel cimitero di Magenta i caduti della Repubblica Sociale Italiana, nel segno di quella coraggiosa opera di pacificazione nazionale che poi sarebbe stata ripresa da molti (Gabriele Albertini e Letizia Moratti, tanto per fare dei nomi).

Massimo Bertarelli, volto anche televisivo grazie alla presenza nel format di Gigi Marzullo il venerdì sera, su Rai 1, ci ha deliziato per anni con recensioni del tutto uniche, nelle quali si scagliava con la stessa foga contro certo cinema impegnato ma artisticamente povero come contro il ‘cinepanettonismo’ (le stroncature di Massimo Boldi generarono un caso: Boldi gli scrisse un telegramma, lo invitò a casa per vedere un film, da lì divennero grandi amici). 

Massimo Bertatelli scrisse in vita anche due libri (1500 film da evitare, Roma, Gremese Editore, 2003- Il cinema italiano in 100 film, Gremese Editore).

Noi ne ricorderemo sempre le ultime due righe con cui recensì uno dei nostri film preferiti, Sapore di Mare: ‘Una splendida Virna Lisi batte, per classe, bellezza ed eleganza, ragazze ed attrici di cui potrebbe essere la madre’.

I funerali di Massimo Bertarelli avranno luogo mercoledì 11 dicembre, alle ore 11, nella basilica di Santa Maria di Lourdes, in via Fratelli Induno 12 a Milano.

Mancherà e parecchio, Massimo Bertarelli. Quanto meno gli sopravviveranno i suoi scritti. Testimonianze di un tempo che presto sarà soltanto un pallido ricordo, tanto grande nella dimensione culturale e di edificazione del pensiero quanto piccolo nel presente che ha pasolinamente liquidato il Padre in ogni sua forma (con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti).

Giornalismo (e giornalisti) di cui s’è perso per sempre lo stampo. Per dirla alla Montanelli, Massimo Bertarelli era un Uomo. Sempre più ‘rara avis’.

Fabrizio Provera

 

 

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