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Abbiategrasso, stasera al Corso torna Nero Latte

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ABBIATEGRASSO Nero Latte tornerà al Corso di Abbiategrasso dopo il “tutto esaurito” della prima volta. Se non l’avete ancora visto, o volete rivederlo, vi aspettiamo mercoledì 8 febbraio alle 20.30, a ingresso gratuito. Volendo, alla fine, faremo due chiacchiere.
E’ il giornalista, critico e regista (di questo film) Fabrizio Tassi ad annunciare una lietissima sorpresa: questa sera torna a grande richiesta Nero Latte, il film nato al Liceo Bachelet di Bià e divenuto realtà grande ad una potente e appassionata opera ‘dal basso’.

Ci piace invitarvi ad andare a vederlo, questa sera, con la presentazione del progetto e delle sue tappe.

“Perché la memoria del male non riesce a cambiare l’umanità? A che serve la memoria?” Primo Levi

Un liceo di provincia (milanese), con le sue storie di vita, amori, sogni, liti, ribellioni. L’auditorium ospita dei provini: si cercano dodici ragazzi, tra i 16 e i 19 anni, per fare teatro. Tema: la Memoria. Lo spettacolo, Nero latte, verrà presentato ad Auschwitz. Ma si parla anche di un film, che racconta lo spettacolo e si chiede se ha ancora senso raccontare l’orrore.

Da una parte ci sono i ragazzi (la realtà), che ragionano sul progetto, dall’altra i dodici personaggi (la fiction), con i loro problemi: Luna odia la scuola e vorrebbe fuggire lontano; Arianna vive un amore proibito; Sofia è la più impegnata e Linda la più arrabbiata… Ci sono coppie che scoppiano, compagni che non si sopportano, talenti che si mettono alla prova (teatro, danza, musica). E poi c’è Zeno, il regista del film nel film. Realtà e finzione si intrecciano, mentre i ragazzi si preparano allo spettacolo e la narrazione si confonde con il “documento”, fino a quando arriva il Covid e l’emergenza sanitaria mette a rischio tutto il lavoro fatto. Il cinema allora si sposta nelle case, in quarantena, coi ragazzi che si auto-filmano. Ma alla fine il viaggio in Polonia si fa, l’esperienza dei campi risulta sconvolgente e i ragazzi capiscono che, in un certo senso, “era tutto sbagliato”.

Un “finto doc su una vera docu-fiction”. Potremmo chiamarlo così. Un film a strati, in cui si sovrappongono scrittura e improvvisazione, messinscena e making of, il lavoro teatrale pluriennale di un gruppo di liceali e un tentativo di fiction che riflette sullo strumento, su come e perché il cinema ci può insegnare a guardare-capire meglio la realtà (con coscienza critica, consapevolezza, amore). Tutto questo per cercare di andare al di là della “retorica della memoria” e chiedersi: perché Auschwitz mi riguarda, oggi? Ha qualcosa a che vedere con la mia vita? Ma anche: si può rappresentare davvero quell’orrore senza banalizzarlo, senza trasformarlo in uno “spettacolo”?

Per provare a rispondere, abbiamo utilizzato diversi linguaggi, stili e anche dispositivi. Da una parte c’è il lavoro dei ragazzi, le loro emozioni e pensieri, dall’altra la costruzione dei personaggi e la preparazione del viaggio al centro della trama. Un lavoro cominciato nel 2019, nato come progetto scolastico al Liceo Bachelet di Abbiategrasso (MI), è diventato una produzione cinematografica indipendente (molto indipendente, a costo quasi zero), che nel suo percorso ha raccolto l’aiuto di professionisti e amici, compresi musicisti del calibro di Paolo Spaccamonti, Teho Teardo e Massimo Zamboni (che ci hanno prestato alcuni loro brani, oltre a un pezzo leggendario dei C.S.I.). La sceneggiatura è stata scritta in tempo reale, tra un set e l’altro, una prova e una riflessione collettiva, e alla fine ha dovuto fare i conti anche con l’emergenza sanitaria, che ha bloccato le riprese per due volte e ha generato un ulteriore livello narrativo.

Abbiamo utilizzato diversi stili (modi di guardare la realtà): c’è quello più contemplativo e “cinematografico”, quasi uno sguardo esterno alla storia, e il camera a mano documentaristico, l’improvvisazione, la scena rubata; c’è la messinscena classica, anche ingenua e artigianale, dentro la logica del campo-controcampo, e il cinema “sgrammaticato”, impulsivo, che nasce dall’interno, il frammento, l’illuminazione. Ma soprattutto c’è l’esperienza del viaggio e la visita ai campi, verso cui convergono i vari livelli e le diverse narrazioni. Ci siamo “allenati” per mesi, usando il teatro, la musica e la poesia, guardando tanti film, leggendo le memorie dei sopravvissuti, ma quell’orrore rimane indicibile e irrappresentabile.

Nero latte (il titolo è ispirato a una celebre poesia di Paul Celan) racconta questa scoperta, esalta la bellezza della fragilità e la coscienza del limite (contro la logica della forza) e mostra dodici ragazzi che “imparano a guardare”. Non c’è una morale. Il messaggio è il film: il lavoro fatto da dodici giovani, il modo in cui si sono messi in gioco in questo progetto, con tutta la loro straordinaria umanità.

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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