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Abbiategrasso, questa sera Nero Latte si presenta alla città

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ABBIATEGRASSO  “Nero latte” si presenta alla città. L’appuntamento, a ingresso gratuito (fino ad esaurimento posti), è per oggi,  venerdì 11 novembre alle 21 al Corso di Abbiategrasso. 
A tre anni dall’inizio del progetto, nato all’interno dell’IIS Bachelet (da un’idea di Maurizio Brandalese, con il supporto di Anna Ricotti e Gianni Mereghetti), è arrivato il momento di vedere in anteprima il film prodotto da Dedalus e interpretato da dodici liceali, diretti da Fabrizio Tassi, con la fotografia di Matteo Ninni.

Un’opera complessa e ambiziosa, frutto del lavoro portato avanti da anni sul tema della memoria, girata in gran parte nel nostro territorio (oltre che ad Abbiategrasso, anche a Cassinetta, Robecco, Vermezzo e Vigevano, dove vivono i ragazzi), ma anche in viaggio attraverso l’Europa, fino alla Polonia, a Cracovia e ad Auschwitz. Fondamentale il contributo del Comune di Abbiategrasso, che sarà presente alla serata con il sindaco Cesare Nai e altri rappresentanti istituzionali, ma anche di Fondazione Comunitaria Ticino Olona, Acli e Anpi Abbiategrasso, Lions, Comune di Robecco, UilTucs Lombardia e vari sponsor privati (Gorla Utensili, Bar Castello).


Regia e sceneggiatura: Fabrizio Tassi
Fotografia e montaggio: Matteo Ninni
Produzione: Maurizio Brandalese
Interpreti, dodici studenti del Bachelet di Abbiategrasso: Carlotta Bianchini, Gaia Casadei, Agnese Cazzalini, Elena Guaita, Simone Firpo, Luca Gambini, Silvia Gilardi, Amélie Mazzarotto, Rosa Migliorini, Paolo Palmeri, Sonia Pulaj, Emma Vecchi (e con Maurizio Brandalese e Alessandro Treccani)

TRAMA
Dodici ragazzi, tra i 16 e i 19 anni, preparano uno spettacolo da mettere in scena ad Auschwitz. Come e perché raccontare ancora l’orrore? Ma intanto vivono i loro dubbi, amori, sogni, litigi, ribellioni. Da una parte ci sono i ragazzi-attori, dall’altra i personaggi di un film. Perché in realtà i dodici liceali stanno girando un film, in una scuola della provincia milanese, intitolato “Nero latte” (da una poesia di Paul Celan). Luna odia la scuola e vorrebbe fuggire lontano; Arianna vive un amore proibito; Sofia è la più impegnata e Linda la più arrabbiata… Ci sono coppie che scoppiano, compagni che non si sopportano, talenti che si mettono alla prova (teatro, danza, musica). E poi c’è Zeno, il regista del film nel film. Realtà e finzione si intrecciano, mentre i ragazzi si preparano allo spettacolo, e la narrazione si confonde con il “documento”, fino a quando arriva il Covid e l’emergenza sanitaria mette a rischio tutto il lavoro fatto. Il cinema allora si sposta nelle case, in quarantena, coi ragazzi che si auto-filmano. Ma alla fine il viaggio in Polonia si fa, l’esperienza dei campi risulta sconvolgente e i ragazzi capiscono che, in un certo senso, “era tutto sbagliato”.

NOTE DI REGIA
  Un “finto doc su una vera docu-fiction”. Potremmo chiamarlo così. Un film a strati, in cui si sovrappongono scrittura e improvvisazione, messinscena e making of, il lavoro teatrale pluriennale di un gruppo di liceali e un tentativo di fiction che riflette sullo strumento, su come e perché il cinema ci può insegnare a guardare-capire meglio la realtà (con coscienza critica, consapevolezza, amore). Tutto questo per provare ad andare al di là della “retorica della memoria” e chiedersi: perché Auschwitz mi riguarda, oggi? Ha qualcosa a che vedere con la mia vita? Ma anche: si può rappresentare davvero quell’orrore senza banalizzarlo, senza trasformarlo in uno “spettacolo”? Per provare a rispondere, abbiamo utilizzato diversi linguaggi, stili e anche dispositivi. Da una parte c’è il lavoro dei ragazzi, le loro emozioni e pensieri, dall’altra la costruzione dei personaggi e la preparazione del viaggio al centro della trama. Un lavoro cominciato nel 2019, nato come progetto scolastico al Liceo Bachelet di Abbiategrasso (MI), è diventato in una produzione cinematografica indipendente (molto indipendente, a costo quasi zero), che nel suo percorso ha raccolto l’aiuto di professionisti e amici, compresi musicisti del calibro di Paolo Spaccamonti, Teho Teardo e Massimo Zamboni (che ci hanno prestato alcuni loro brani, oltre a un pezzo leggendario dei C.S.I.).  La sceneggiatura è stata scritta in tempo reale, tra un set e l’altro, una prova e una riflessione collettiva, e alla fine ha dovuto fare i conti anche con l’emergenza sanitaria, che ha bloccato le riprese per due volte e ha generato un’ulteriore livello narrativo. Abbiamo utilizzato diversi stili (modi di guardare la realtà): c’è quello più contemplativo e “cinematografico”, quasi uno sguardo esterno alla storia, e il camera a mano documentaristico,  l’improvvisazione, la scena rubata; c’è la messinscena classica, anche ingenua e artigianale, dentro la logica del campo-controcampo, e il cinema “sgrammaticato”, impulsivo, che nasce dall’interno, il frammento, l’illuminazione. Ma soprattutto  c’è l’esperienza del viaggio e la visita ai campi, verso cui convergono i vari livelli e le diverse narrazioni. Ci siamo “allenati” per mesi, usando il teatro, la musica e la poesia, guardando tanti film, leggendo le memorie dei sopravvissuti, ma quell’orrore rimane indicibile e irrappresentabile. Il film racconta questa scoperta, esalta la bellezza della fragilità e la coscienza del limite (contro la logica della forza) e mostra dodici ragazzi che “imparano a guardare”. Non c’è una morale. Il messaggio è il film: il lavoro fatto da dodici giovani, il modo in cui si sono messi in gioco in questo progetto, con tutta la loro stra-ordinaria umanità.

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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