― pubblicità ―

Dall'archivio:

Abbiategrasso: Hasta la victoria, Aleida Guevara- di Teo Parini

+ Segui Ticino Notizie

Ricevi le notizie prima di tutti e rimani aggiornato su quello che offre il territorio in cui vivi.

Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

 

ABBIATEGRASSO – Aleida, figlia primogenita del Comandante Ernesto Guevara, lo scorso venerdì è intervenuta all’incontro organizzato dall’associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba in concomitanza del secondo anniversario della scomparsa (fisica) di Fidel Castro. La cornice scelta per l’evento è quella del Castello Visconteo di Abbiategrasso, location suggestiva per un gigante dei nostri tempi. Il clima nella sala è fraterno, del resto Cuba, a tutte le latitudini, è sinonimo di gioia e spensieratezza, tuttavia la discussione intorno alla quale è articolata la serata verte su una contingenza che di faceto ha assai poco: el bloqueo. Tradotto nella nostra lingua, il blocco economico e commerciale che ha indotto le ultime tre generazioni di cittadini cubani a ergere barricate a fronte dell’assedio mercantile perpetrato dal governo degli Stati Uniti.

Un po’ di storia, tra origini e attualità. Anno 1962, 3 febbraio. Washington, in risposta ai cambiamenti nel tessuto sociale che hanno seguito la Rivoluzione cubana, applica il fermo totale del commercio con l’isola caraibica, esercitando pressioni sugli alleati europei per un remissivo allineamento. Il 24 marzo seguente, il Dipartimento del Tesoro proibisce l’entrata negli Stati Uniti di qualsiasi prodotto elaborato con materie prime di origine cubana, anche se fabbricato in paesi terzi. Al contempo, nei porti disseminati lungo le coste americane, ogni facilitazione nei confronti delle navi che trasportano carichi verso i moli cubani viene cancellata e, per volontà del Presidente Kennedy, le prime sanzioni si abbattono sulle imbarcazioni non conformi al diktat. Il cappio si stringe compiutamente il 6 febbraio dell’anno successivo quando gli Stati Uniti di fatto ufficializzano il blocco con una delibera per la quale le merci finanziate dal governo stesso non avrebbero più potuto essere imbarcate su navi di paesi che mantengono attivo il commercio con Cuba. La situazione si cristallizza e nei decenni successivi, con democratici e repubblicani in alternanza al potere, non cambierà, se non in peggio. Tornando ai nostri giorni, non più tardi di qualche settimana fa, per la ventisettesima volta l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione sulla necessità di porre fine al blocco. Hanno votato 189 paesi, due quelli che si sono opposti: Stati Uniti e Israele. Quando si dice imperialismo del secolo XXI.

Aleida, professione pediatra, ha un viso simpatico e gli occhi dolci, schermati da palpebre deliberatamente tenute abbassate per metà. Animata da una fine ironia, il suo è un body language gentile che trasuda un senso di protezione avvolgente. Il carisma però è tutto paterno, pertanto guerrigliero, e quando attacca con l’arringa, la figlia del Che e di Aleida March, prima moglie del grande rivoluzionario, è un formidabile catalizzatore di attenzione, al punto che essere trasportati da un concentrato di passione, colore e speranza appaia come l’unica strada percorribile. Con dovizia di particolari e coadiuvata da una voce che acquista incisività con il passare dei minuti, come la valanga che incrementa sé stessa scendendo dal pendio, dipinge piccoli spaccati di quotidianità cubana che al meglio esemplificano il significato di crescita nel disagevole contesto del blocco. La tridimensionalità che acquisiscono parole scelte con cura tra migliaia rende di fatto tangibile la sofferenza che il popolo di Cuba prova da decenni sulla propria pelle. Per l’ascoltatore è un cazzotto al plesso solare, che leva il fiato e smuove la coscienza.

La prima riflessione alla quale si è chiamati è la seguente. Stretti nella morsa di un simile castigo punitivo, gli abitanti dell’Occidente, assunto dogmaticamente a modello ideale di organizzazione, non potrebbero sopravvivere tanto a lungo, abituati, così come sono, a pretendere dalla vita tutto e subito. Una consapevolezza acuita dalla consistenza impalpabile dell’assistenza mutua tra individui che caratterizza la giungla del capitale. Arroganti, si vive nella convinzione che con qualche spicciolo in tasca nulla sia precluso, perché ogni cosa ha sempre un prezzo. Cuba, tuona Aleida, è tenacità – in fisica la peculiarità di piegarsi più volte senza rompersi – quella di un popolo che ha per le mani una carta vincente: la solidarietà, antidoto alle vessazioni provenienti dall’esterno.

Tornando al leitmotiv dell’assemblea, blocco significa almeno due cose. C’è un lato tangibile, quello che gli uomini aspettano al varco e con abnegazione provano a contrastare, fatto di negozi sprovvisti dei beni di prima necessità, di ospedali e farmacie prive di medicinali, di abitazioni con le dispense spoglie. Un vuoto fisico, dunque, vicino alla bocca dello stomaco. In parallelo un affanno meno materiale, implacabile assillo della psicologia umana. Vuoto dell’anima, che comprensibilmente degenera in un senso di gelida impotenza. Privazione di ogni spiraglio che è somma di un immediato che sfugge come sabbia per le dita e di un futuro che potrebbe anche non accadere. Cuba, in ciò, è un microcosmo incastonato tra un “prima” faticosamente trascorso indenne e un “poi” chiamato a fare altrettanto. In mezzo l’attualità contingente. “Aiutami a far fronte, il meglio possibile, all’immediato e a riconoscere l’ora presente come la più importante”, ebbe modo di scrivere Antoine de Saint-Exupery. Asserzione che è poi l’arte dei piccoli passi, in virtù della quale si fronteggia con successo una situazione di estrema difficoltà. Come un blocco criminale.

Data per assodata l’attitudine solidale cubana, una nazione che, tanto per dirne una, esporta medici e personale qualificato negli scenari di maggior bisogno nonostante una situazione economica statale che per ovvi motivi non può essere florida, la seconda riflessione scaturita dalla serata è intimamente legata al concetto di patriottismo, quale fervido sentimento di devozione alla propria nazione. Aleida, infatti, non perde occasione per farne menzione nel corso dell’appassionato monologo: “Cuba – dice – sopravvive perché è una nazione fortemente unita”. “Patria o morte”, non a caso, come ebbe modo di affermare lo stesso Che Guevara nel celebre discorso tenuto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite cinquantaquattro anni or sono. Unità, in questo caso, intesa come capacità nel fare fronte comune nelle avversità, un tabù del nostro paese. Dove, oltre ai congeniti limiti strutturali di una società eterogenea, l’etimologia della parola “patriottismo” ha via via assunto, prima nelle élites dell’italica sinistra europeista e atlantista e poi nella pancia di una parte della popolazione, un’accezione tendente allo sciovinismo, quindi esecrabile, benché la nostra storia recente sia figlia di una guerra di liberazione, appunto, patriottica. De Gaulle, noto statista d’oltralpe, a riguardo pronunciò una chiosa efficace che sarebbe utile rispolverare: “Patriottismo è amare la propria nazione, imperialismo odiare quella degli altri”. Impeccabile. L’abbaglio concettuale è allora insito nella differenza che intercorre tra nazionalismo reazionario, la bramosia di dominio, e rivoluzionario, quale battaglia per l’indipendenza e il diritto all’autodeterminazione di un popolo. In questa seconda ottica, Cuba che resiste al blocco imperialista è pertanto una realtà nazionalista e non è affatto ossimorico. Oltre che evidentemente socialista, dottrina che, per sfatare un altro mito nostrano, nulla condivide con la negazione dei concetti di stato, patria, nazione e salvaguardia dei confini territoriali, che altresì contraddistinguono il cosmopolitismo borghese, l’antitesi dunque. Che, per dirla alla maniera di Pietro Secchia, “utilizza l’arma della divulgazione di una visione astratta di nazione al fine di irregimentare i popoli nel farli marciare contro gli altri popoli per perseguire i propri scopi”. Vien da sé che il senso di appartenenza a una comunità, e l’annesso riconoscimento di una cultura come propria, non implichi il rifiuto automatico delle altre. Cuba, riposizionando il target, è storicamente solidale con gli stati impegnati in analoghe battaglie – l’odierno Venezuela bolivariano, per esempio, la Bolivia di Morales, Haiti del post terremoto e altri ancora – in un contesto isolano di profondo attaccamento alla nazione. Internazionalismo in piena regola.

Terzo e ultimo aspetto. “Un popolo colto non può essere sconfitto”, è la breve sintesi di uno dei prolissi cavalli di battaglia di Fidel Castro, che in vita si adoperò affinché un’istruzione di livello fosse prerogativa gratuita per tutti i cittadini cubani. A ricordarci l’importanza della cultura per lo stato di salute a trecentosessanta gradi di un paese è ancora una volta la Dottoressa Guevara, instancabile. La tesi, solo in apparenza banale, è che in assenza di risorse materiali, vuoi per il blocco in atto, l’unica scappatoia sia il conseguimento dell’eccellenza nell’ambito dello studio e della ricerca. Autarchico come assioma: se non lo puoi comprare, pensalo, producilo e mettilo a disposizione del popolo. É così che Cuba, per rendere l’idea, ha compiuto passi da gigante nella lotta al cancro, nonostante trovare del banale acido acetilsalicilico – l’aspirina – nelle principali città sia una chimera. Cultura, dunque, un punto di forza trainante che è oggi motivo di vanto per l’America latina intera.

Aleida è provata, sarà forse anche un po’ l’emozione per aver sollecitato certe corde, e la serata volge al termine. Qualche domanda dai presenti alla quale non si sottrae di rispondere e una sentenza che è un grosso punto esclamativo, oltre che un efficace riassunto. “Il popolo cubano non è moderato ma combattivo”, l’ammonizione senza peli sulla lingua nei confronti del Sindaco che ha introdotto il dibattito ormai due ore prima. C’è anche il tempo per un toccante fuori programma, ed è un biglietto di sola andata per Santa Clara. Dalla platea qualcuno attacca con il ritornello della struggente “Hasta siempre”, composta dal cantautore cubano Carlos Puebla e dedicata alla dipartita da Cuba del Che inseguendo il sogno della Rivoluzione: “Aquí se queda la clara, la entrañable transparencia, de tu querida presencia Comandante Che Guevara”. Cantano tutti, anche Aleida che ha lo sguardo fiero di chi non smetterà mai di combattere per un mondo più equo. Fino alla vittoria, come suo padre.

Matteo Parini

 

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

■ Prima Pagina di Oggi