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Abbiategrasso: Alberto Amodeo più forte del destino e di quel terribile incidente. Il coraggio e la tenacia di un vero campione

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ABBIATEGRASSO – Ore 20.15, già buio, a complicare ulteriormente il quadro. Un ragazzino di 12 anni schiacciato dalle tonnellate del mezzo. E ci sono voluti i vigili del fuoco per tirarlo via da quella trappola e caricarlo su un’ambulanza: ha una gamba conciata malissimo e rischia di perderla, il bacino fratturato, i chirurghi dell’ospedale di Legnano hanno lavorato per scongiurare il peggio. È grave anche un altro ragazzino di 12 anni, colpito alla testa dalla benna: parte in codice giallo verso l’ospedale Niguarda, ma la violentissima botta fa cambiare il colore dell’emergenza in rosso, la prognosi è riservata. Per tutti gli altri, guidatore compreso, medicazioni e terrore. Il bilancio finale è di 14 bambini feriti.

La Cava Palma, teatro di quest’assurda festa di compleanno, è attiva dal 1969 e ci si scava e ci si ricicla materiale per l’edilizia. 

Sono passati 8 anni da quando i giornali e i media si occuparono del gravissimo, disgraziato incidente occorso durante una festa di compleanno a Cuggiono, dove un momento di gioia si trasformò in dramma quando i ragazzi fecero un giro in cava salendo su un escavatore, da cui originò l’incidente e un delicatissimo intervento chirurgico all’ospedale di Legnano, dove una equipe di 7 medici (lo hanno ricordato altre testate nella serata di ieri) operò Alberto Amodeo, allora poco più che un ragazzino.

La sorte, il destino, le avversità che avrebbero (legittimamente e comprensibilmente) disintegrato il morale di qualsiasi giovane uomo che si affaccia alla vita si sono trasformate una mattina di fine agosto, per quelle imprevedibili traiettorie che solo lo sport sa tracciare, nella gloria paralimpica.

Alberto Amodeo da Abbiategrasso- più forte di tutto, perché se ogni storia di questa Paralimpiade sarebbe un libro da raccontare, quella di Alberto è come se avesse un supplemento meritevole di narrazione- è salito ieri sul secondo gradino più alto del podio a Tokyo, secondo (con tanto di record personale) nella gara dei 400 stile libero.

E allora, per lui, quel braccio alzato in segno di gloria e giubilo nella foto della Federazione di Nuoto Italiano Paralimpico e il bicipite in mostra valgono più di quanto ogni atleta circonfuso di gloria olimpica ha mai raggiunto.

Forse non ce ne rendiamo conto, ma questo ragazzo ha scritto una pagina di sport che lo pone ad un livello pari a quello dei più grandi nomi di questo sport: Michael Phelps, Ian Thorpe, Ryan Lochte.

E se pensiamo che in un fazzoletto di terra lombarda, tra Cassinetta di Lugagnano e Abbiategrasso, due ragazzi di appena 20 o poco più anni hanno vissuto (e ci hanno fatto vivere) momenti di gloria sportiva che rimandano all’epico film di Hugh Hudson (Chariots of fire, in lingua originale), beh allora significa che condividere la loro gioia è il minimo che si possa fare.

Perché se dietro ogni vittoria, ogni medaglia olimpica c’è la fatica silenziosa e lontana dai riflettori di anni passati ad allenarsi duramente, i giorni, le sere, i pomeriggi, quelle di Alberto Amodeo e Simone Barlaam sono affermazioni e traguardi talmente eclatanti da imporre un pensiero, una riflessione, una gioia più consavoli.

E varrà dunque la pena, quando torneranno, di tributare loro gli onori che si convengono a dei veri, autentici campioni. Che non hanno solo battuto avversari e  rilievi cronometrici, ma anche avversità e dolori il cui fragore è superato soltanto dalle urla che hanno accompagnato le loro bracciate in piscina.

So long per voi, ragazzi. Avete fatto qualcosa di straordinario. Irripetibile. Incancellabile. A due passi da casa nostra, dalla casa di ciascuno di noi.

Fabrizio Provera

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