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Impresa 4.0: quelle familiari vincono per investimenti- di Andrea Pasini

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Nel corso dell’anno appena trascorso mi è capitato più volte di imbattermi in studi e approfondimenti riguardanti la resilienza delle imprese familiari durante questo periodo. Il Family Business Lab della Liuc ha, ad esempio, rilevato come per il 75% delle realtà familiari (contro il 60% delle altre) l’attuale crisi non rappresenta una minaccia alla sopravvivenza e può essere vista come un’opportunità di miglioramento.

«Quando la sopravvivenza è a rischio, infatti, le famiglie imprenditoriali si mobilitano per preservare l’impresa, il cui valore non è soltanto economico, ma anche sociale e affettivo. Mediamente più efficienti e parsimoniose, nonché più solide, le imprese familiari sono potenzialmente più capaci di fronteggiare situazioni di crisi» .
Anche lo studio realizzato da KPMG Private Enterprise e STEP Project Global Consortium, dimostra come la struttura unica delle imprese familiari abbia consentito loro di rispondere con agilità ed efficacia all’impatto del Covid. Dallo studio emerge come il coinvolgimento diretto della famiglia e la mentalità focalizzata sui risultati di lungo termine abbiano permesso alle aziende familiari di dimostrare resilienza alla pandemia, ponendole in un ruolo chiave per guidare la ripresa economica.
Uno dei principali fattori di differenziazione delle imprese familiari è, infatti, il modo in cui definiscono il successo. Sebbene profitti e dividendi siano misure finanziarie importanti, il successo nelle imprese familiari è definito anche da obiettivi non finanziari, come il controllo, la successione transgenerazionale, il capitale sociale, il legame emotivo con l’azienda e la reputazione. Questi obiettivi non finanziari, e più legati ad aspetti socio-emotivi, sono così importanti nelle imprese familiari da avere un impatto diretto sul loro processo decisionale e su come misurano il successo. Questo spiega perché, dopo aver intrapreso azioni immediate per attutire lo shock finanziario derivante dal Covid, le imprese familiari hanno rivolto la loro attenzione a strategie a più lungo termine per salvaguardare il valore non economico che la famiglia trae dal possedere e gestire l’attività.
Io sono Andrea Pasini un imprenditore di Trezzano Sul Naviglio e posso dire che questi dati mi rendono particolarmente fiero, in quando per primo conosco il grande valore delle aziende famigliari nel nostro paese, e leggendo i numeri dell’indagine del Centro Studi dell’Istituto Tagliacarne, secondo cui la percentuale di imprese familiari che hanno investito in tecnologie 4.0 tra il 2017 e il 2020, è pari al 17%, contro il 15% di quelle non familiari certifica ancora una volta l’impegno e la lungimiranza delle imprese famigliari sul mercato. Così come per gli investimenti green: li hanno fatti il 27% dei family business, contro il 24% delle aziende non familiari.
Se ben gestita una realtà che fa capo a una famiglia si rivela più dinamica. Complici una serie di fattori tra cui la conoscenza e la vicinanza al territorio e quindi un migliore comprensione del territorio e desiderio di preservarlo per le generazioni future.
È interessante notare che in Italia sono 18 aziende su 100 (manifatturiere di proprietà familiare) hanno scelto di affidarsi a un manager esterno. Una decisione che sembra portare a una maggiore propensione per gli investimenti in tecnologie 4.0 che passano da una media del 17% al 35% in caso di elevato livello di relazionalità.
Unico punto a sfavore, secondo lo studio, è quello riguardante il passaggio generazionale. Le imprese familiari sono spesso restie a involvere manager esterni nella gestione dell’azienda, peccando così di lungimiranza. I dati spiegano infatti che il 70% delle imprese di famiglia con manager assunti sul mercato prevede di tornare ai livelli prodottivi pre-Covid entro il 2022, contro il 60% di quelle guidate da manager familiari e il 63% delle aziende a proprietà non famigliare. «Il rischio» si legge nel report «è che l’azienda si trovi a vivere un periodo di transizione durante il quale si esaurisce la spinta propulsiva».
Andrea Pasini

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