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Ezio Bosso, narrazione e fantasia: Castellinaria 2021- dalla nostra inviata Monica Mazzei

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BELLINZONA (Ch) Castellinaria è ripartito il 13 novembre per accompagnarci nel mondo dell’adolescenza e dell’infanzia attraverso la narrazione cinematografica. 

La grande ripartenza si è avuta sabato 13 con la cerimonia d’apertura, presso l’Espocentro di Bellinzona, e con la prima incantevole proiezione: “Ezio Bosso – Le cose che restano”, dal titolo eloquente, diretto da Giorgio Verdelli, che ha presentato di persona il docu-film al pubblico in sala.

Creato grazie alla documentazione raccolta e all’impegno del regista, che è un grande conoscitore musicale, la coinvolgente pellicola si avvale di una ricostruzione intensa e precisa del fenomeno umano e artistico Ezio Bosso, scomparso per una malattia neurodegenerativa nel 2020, ma della quale soffriva senza mai arrendersi dal 2011.
Bosso, lo ricordiamo, oltre ad essere stato un “poeta della musica”, era compositore, direttore d’orchestra e musicista.
L’opera ha commosso la sala ticinese e all’ultima Mostra del Cinema di Venezia si era guadagnata una infinita standing ovation.
In una edizione che punta a favorire l’incontro con la natura, attraverso la tematica ambientale e il vissuto degli uomini incastonato in esse, pregevole è stata la proiezione del film che mi appresto a recensire.
La trama:
 
prima svizzera di The Salt in Our Waters di Rezwan Shahriar Sumit, (Francia, Bangladesh 2020)
È evidente un contrasto tra un mondo moderno, che porta il giovane protagonista del film, un’agiato scultore che sta viaggiando per conoscere un villaggio recondito del Bangladesh, del quale era nativo il da poco defunto padre, ed i costumi ancora arcaici degli abitanti di questo spedito luogo.
Trattandosi di villaggio di pescatori che vivono ancora come un tempo, con scarsi e rudimentali mezzi, pare di assistere alla metafora biblica del pescatore che confida in Dio per essere salvato da ogni male, accentrandone con fatalismo l’incontrollabile volontà.
Il giovane artista si prende anche dei rischi, perché qui la vera protagonista è l’acqua in tutte le sue forme, come clima, come sostentamento e come mezzo quotidiano.
Ma anche come potenza incontrollabile che da un momento all’altro può spazzar via la popolazione.
In un dato momento, nel bere il the’ la mattina, si è letto sul volto il dubbio non fosse pulita: lui e’ avvezzo ad un altro modo di vivere ma persevera nel suo voler conoscere.
Scoprirà allo stesso tempo che il contrasto non è forte come poteva credere: i bambini, che sono i più piccoli abitanti del posto e non conoscono nulla, non vogliono ad esempio andare a pregare come non vuole andarci lui, quando viene annunciato il raduno pomeridiano.
Piano piano avviene uno scambio: lui vuole fare esperienza della naturalità del posto e del suo modo di vivere, ed i piccoli sono i primi a voler fare esperienza tramite lui, di un mondo che non conoscono.
Gli adulti sono più obiettivi e rassegnati, una giovane madre è sottilmente ostile… l’interrogativo pare solo uno: è giusto far affacciate delle nuove vite ad un mondo che non potranno possedere e vivere?
Ma inizia così anche lo scambio profondo di aiuto: sarà’ forse lui a riceverne più di quel che pensava. 
Il fatalismo si mescola e si fonde ad un senso di attesa, in uno sterminato paesaggio all’apparenza sempre uguale ed immutato, ma dove si conosce la potenza della tempesta che tutto può annientare.
Emergono il tema della donna considerata superficiale: alla radio, usata più come optional che come mezzo per trarsi in salvo, le notizie sono sempre date dalle annunciatrici donne, e per il villaggio è solo la dimostrazione della vena “pettegola e ciarliera femminile”.
Perché l’unica autorità fonte di saggezza per loro è ancora il vecchio del villaggio, che dai più giovani si fa mantenere e che li esorta a non credere alle notizie della catastrofe imminente, perché bisogna affidarsi a Dio.
Si profila così un microcosmo dominato dalla consueta “dittatura gentile”, consentirà dal l’ignoranza dei più.
Sarà proprio lo scultore ad aprire gli occhi a questa gente e a spingerla a mettersi in salvo, soprattutto dopo averla fatta riflettere sul suicidio di uno giovane depresso del villaggio, al quale si sarebbe potuto dare aiuto tempestivo.
Il tornado infine arriva.
Ma forse nessuna tempesta è brutta come la ridipinge e la paura è l’unico ostacolo su nostri sogni…. Ed una piccola e fragile capanna basterà a proteggere lui ed una giovane molto intelligente, sospettata di comportamenti amorali con lui, e per questo abbandonata dagli altri vili fuggiaschi, che si sono messi a riparo nell’entroterra… Perché una favola d’amore che strizza l’occhio ad un futuro migliore non poteva mancare.
Una delle perle di questa edizione, è stata la proiezione del cortometraggio d’animazione di 17 minuti, “La città delle cose dimenticate” (Italia 2021), realizzato dal fumettista e illustratore Massimiliano Frezzato e da Francesco Filippi.
I due autori hanno presentato la loro opera la sera della proiezione al pubblico e durante una masterclass organizzata per il pomeriggio seguente.
“La visione e l’alchimia della creazione”.
Potrebbe essere il titolo di questa masterclass tenuta dal fumettista e illustratore Massimiliano Frezzato e dal regista Francesco Filippi, su questo lavoro d’animazione creato insieme.
Cosa rende perfetta un’animazione?
La sua fluidità. Non dovremmo in pratica nemmeno percepirla, come nel caso dei veri movimenti umani. In effetti, se ci penso, da bambina anche molto piccola, tendevo a rifiutare quelle primissime animazioni meccaniche e innaturali.
“La città delle cose dimenticate” è però un cortometraggio un po’ particolare, visto che trattasi quasi di un “affresco d’animazione”, che si snoda da solo come su di una pellicola.
In effetti, era nato inizialmente come libro illustrato.
“Molte delle cose che percepiamo sono incoscie. E l’immaginazione è fondamentale per ‘vedere’ questa storia… Grazie alla voce narrante, visto che i personaggi non si muovono davvero”.
Io so di aver visto spuntare qualche citazione letteraria celebre basata proprio sul fil rouge di questo racconto di 17 minuti: la “cura”, che mettiamo nelle cose, negli ideali e in noi stessi, pare esserne l’unica protagonista.
E poi c’è la memoria delle stesse, memoria che diventa uno specchio in cui ritrovare se stessi, quando sbiadiremo.
Ciò che lasciamo di noi ci mantiene in vita in qualche modo, perché tutti abbiamo paura di essere dimenticati come gli oggetti.
E così la “cura” si fa sentimento, in una storia che può essere recepita e amata da grandi e piccini…
Altra storia vista in proiezione in questi giorni:
“The Saint of The Impossible” (Svizzera, 2020), esordio nel lungometraggio del regista svizzero-britannico Marc Raymond Wilkins.
Il film di finzione ha per protagonista una famiglia di peruviani immigrati clandestinamente negli USA.
Il loro “sogno americano” li porta a perseverare con costanza per cercare di integrarsi ed ottenere un futuro migliore, tra lavoro massacrante della madre e studio dellinglese dei figli. I figli, due gemelli adolescenti, hanno comunque desideri tipici alla loro età: incontrare una bellissima ragazza che faccia vivere loro le prime esperienze d’amore.
La Santa degli impossibili è Santa Rita, che loro sperano li aiuti in ciò.
A volte i sogni si avverano: sarà un bene od un male per loro, giovani clandestini?
Quel che è certo è che in una storia in cui tutti sono disperati, la speranza non perde mai.
Lunedì sera sono poi stati presentati i cortometraggi della selezione “Castellincorto”.
– Giancarlo Zappoli, direttore artistico Castellinaria,  ci svela i segreti del doppiaggio:
– Presentazione del cortometraggio d’animazione La città delle cose dimenticate (Italia 2021), realizzato dal fumettista e illustratore Massimiliano Frezzato e da Francesco Filippi:
– Masterclass con gli autori del cortometraggio d’animazione “La città delle cose dimenticate”:
Monica Mazzei
Freelance culturale 

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