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Bareggio, Mirko Pelloia e la ‘fatwa’ antifascista… per una felpa. Che miseria (intellettuale)- di Fabrizio Provera

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Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

 

Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti!
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano. Quanto a me, conosco assai bene il loro modo di esser stati bambini e ragazzi, le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.
 

La madre incallita come un facchino, o tenera,
per qualche malattia, come un uccellino;
i tanti fratelli, la casupola
tra gli orti con la salvia rossa (in terreni
altrui, lottizzati); i bassi
sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi
caseggiati popolari, ecc. ecc.
E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci,
con quella stoffa ruvida che puzza di rancio
fureria e popolo. Peggio di tutto, naturalmente,
e lo stato psicologico cui sono ridotti
(per una quarantina di mille lire al mese):
senza più sorriso,
senza più amicizia col mondo,
separati,
esclusi (in una esclusione che non ha uguali);
umiliati dalla perdita della qualità di uomini
per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare).
Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care.
Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia.
Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete!
I ragazzi poliziotti
che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione
risorgimentale)
di figli di papà, avete bastonato,
appartengono all’altra classe sociale.
A Valle Giulia, ieri, si è cosi avuto un frammento
di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte
della ragione) eravate i ricchi,
mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque,
la vostra! In questi casi,
ai poliziotti si danno i fiori, amici.

(Pier Paolo Pasolini)

BAREGGIO – Non pensate che l’invettiva di Pier Paolo Pasolini contro i giovani di sinistra protagonisti dei celebri scontri a valle Giulia di Roma, risalenti al 1968, siano fuori tema. Abbiamo VOLUTAMENTE aperto così questo pezzo che è dichiaratamente, manifestamente  A SOSTEGNO del consigliere comunale della Lega Nord di Bareggio, Mirko Pelloia. 

Reo di cosa? Di qualche reato? Malversazione? Irregolarità? Scontri? Violenze? Assalti a un campo nomadi?  Nulla di tutto ciò. Come accade a tutti i grandi intellettuali, schiera cui PPP appartiene sine dubio, il Potere viene utilizzato per trasfigurare i ruoli e schiacchiare, da posizioni di auto assunta superiorità etica, un debole scambiato per usurpatore.

Mirko Pelloia

Perché NO, Mirko Pelloia non ha commesso niente di tutto questo. Mirko Pelloia è tacciato di FELPISMO, variante moderna (per qualche mente, diciamo così, fantasiosa) del ben più grave reato (intellettuale o presunto, perché nessuna dittatura in orbace è all’orizzonte, né in Italia né tanto meno a Bareggio) di adesione, supporto od occhio strizzato al FASCISMO.

Una sorta di Ur Fascismo, per dirla con Umberto Eco, giacché chi accusa Pelloia di tale ‘nefandezza’ (sic) pensa che indossare una fela della Pivert sia un atto ostile.. a che cosa? Alla democrazia e alle istituzioni?

Quanto avvenuto a Pelloia è solo l’ennesimo, certo non ultimo, esempio di un giornalismo che ad avviso di chi scrive è intellettualmente e moralmente triste: una condanna netta, radicale e totalizzante in assenza di altro. Tutt’altro.

Così chi lancia la fatwa (che se non fosse stata ripresa dai social, a nostro avviso, ben poco avrebbe performato quanto a letture: andatevi a leggere i dati di vendita dei giornali e del drammatico calo di edicole) non ci dice chi sia Pelloia, giovane laureato alla Bocconi, con una posizione professionale importante, una passione politica tipica di molti giovani sfociata in una candidatura ed un’elezione, entrambe democratiche e legittimate dal votoo popolare.

Pelloia non ha raccolto voti camminando in orbace o al passo dell’oca, intonando canti del Ventennio o slogan neo o tardo dannunziani.

No, Mirko Pelloia è un consigliere comunale, un leghista, che presiede una Commissione comunale. Ma noi non sappiamo nulla della sua attività istituzionale. Sappiamo solo che indossa una felpa legata a un  libero imprenditore tacciato di vicinanza a Casa Pound, movimento che fino a pochi anni fa si presentava regolarmente alle elezioni.

Pelloia, insomma, è tacciabile del più abietto dei reati, contro il quale siamo da semprfe convintamente schierati: il reato d’opinione. Aberrante in una democrazia, come da decenni pontifica inascoltato il coraggioso saggista e scrittore Massimo Fini.

“Esiste ancora in Italia la libertà d’opinione solennemente garantita dall’articolo 21 della Costituzione? L’altro giorno, quatta quatta, è stata approvata una legge che “punisce con la reclusione da 2 a 6 anni il negazionismo, cioè l’incitamento all’odio razziale fondato in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra”. Questa norma si incista nella già dubbia legge Mancino che punisce l’odio razziale, dubbia perché l’odio è un sentimento e come tale non è comprimibile per legge, ma l’aggrava non solo perché prevede il reato di negazionismo per chi nega l’Olocausto ebraico ma anche più genericamente “i crimini di genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra”. Sono norme chiaramente liberticide che dovrebbero essere assolutamente estranee a una democrazia e appartengono invece proprio a quei regimi totalitari che, con queste norme, si vorrebbero combattere.

La democrazia deve accettare qualsiasi opinione, anche quella che, in un dato momento storico, le pare più aberrante. È il prezzo che paga a se stessa, sennò si trasforma in un’altra cosa, in una sorta di teocrazia laica. Un principio è un principio e, come tale, ha un valore assoluto, se lo si intacca una volta, anche con le migliori intenzioni (anzi soprattutto con le migliori intenzioni di cui, com’è noto, è lastricato l’Inferno) si sa dove si comincia ma non dove si va a finire”.

Peraltro la fatwa di cui è stato oggetto Pelloia è quella coeva dei nostri tempi, quelli che sagacemente Marcello Veneziani ha decrittato come quelli del cosiddetto “antifascismo postumo e posticcio, usato da posizioni di potere, in assenza ormai secolare del fascismo, ormai morto e sepolto; questo antifascismo diventato un mestiere travestito da missione, una speculazione mascherata da rieducazione, è roba da vigliacchi e da mascalzoni. È facile fondare la propria superiorità etica e la propria legittimazione politica e istituzionale sulla lotta a un nemico che non c’è, e non potrebbe mai difendersi; si ha la certezza di vincere a tavolino, prima di combattere, avendo pure dalla tua parte l’Apparato e tutte le sue ramificazioni, i suoi altoparlanti”.

Le fette di prosciutto antifasciste si stanno (fortunatamente) levando dagli occhi di molti italiani. Ma resta una miseria, ripetiamo intellettuale, andar contro a un ragazzo poco più che trentenne, reo e associato a presunte nefandezze (il pezzo in questione è pieno di domande senza risposta: ecco, magari qualche replica sarebbe servita a rendere plateale l’insussistenza di un’accusa tanto mastodontica quanto nei fatti sterile), senza che un solo atto istituzionale, quindi compiuto nell’esercizio delle proprie funzioni, sia tacciabile di sostegno al fascismo.

Ma fino a che daremo spazio e ascolto alle prefiche di Michela Murgia o ai servizi di Fanpage rilanciati da Corrado Formigli, anziché leggere e compulsare il più grande studioso italiano del fascismo (Renzo De Felice, storico di origine ebrea), questi saranno i risultati. E lo spazio per un riscatto dalla miseria intellettuale, ahinoi, sarà sempre più risicato.

Fabrizio Provera

ps come evidenzia la foto, il consigliere Pelloia dispone anche di capi non Pivert nell’armadio. Ciò detto, ha tutto il diritto di indossare tutti i capi Pivert che ritiene

 

 

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