― pubblicità ―

Dall'archivio:

Pensieri Talebani: fascismo, antifascisti, De Felice (rimosso) e.. All can you eat

+ Segui Ticino Notizie

Ricevi le notizie prima di tutti e rimani aggiornato su quello che offre il territorio in cui vivi.

Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

 
A 100 anni dalla marcia su Roma che diede il via al regime fascista in Italia si dibatte ancora come se il fascismo fosse attualità e non storia. Vogliamo quindi presentarvi un articolo del filosofo professore Massimo Maraviglia che ha lo scopo di fare chiarezza una volta per tutte.

A oggi sappiamo che la definizione “fascista” vorrebbe intendere violenza e divieto di alcune libertà individuali. Precisiamo che:

Il comunismo come le liberal democrazie hanno sviluppato violenze inaudite tanto che ancora oggi, 2021 , gli USA applicano la pena di morte.

Le libertà individuali hanno dei limiti e noi crediamo prima nella libertà di popolo, quindi di difesa dell’identità e della sovranità. 

Specificato questo ribadiamo che il dibattito fascismo/antifascismo sia vecchio, passato, utile solo a chi non ha argomentazioni valide sull’attualità.

 

L’abiura è tecnicamente “la rinuncia solenne alla propria connessione religiosa”. Potrebbe essere l’esito di un travagliato percorso di revisione della propria vita. Ma in questo caso l’elemento della solennità non appare necessario. La solennità per lo più si situa all’incrocio dell’interesse di chi la proclama e di chi la auspica, desidera, o addirittura la impone dall’alto con la forza del potere, del ricatto, della minaccia, della tortura. Quindi se io minaccio Tizio per farlo abiurare, dalla sua abiura ottengo un vantaggio e genero in lui un interesse ad abiurare per evitare danni maggiori. Un incrocio di interessi, appunto. Le guerre di religione vedono il proliferare di questi atti, come pure le guerre ideologiche, che ne sono il riflesso secolarizzato.

 

La nostra epoca post religiosa non è diventata post ideologica, anzi! La recrudescenza del conformismo sociale attorno a tre-quattro dogmi politico-sanitari oggi più che mai lo conferma. La carenza di legittimazione delle democrazie liberali che, nel nome dell’individuo e dei suoi “diritti” hanno segato le gambe a ogni etica condivisa e al concetto stesso di bene comune, necessita improvvisamente di dosi massicce di credenze artificiali con cui sostituire l’appartenenza di un popolo alla sua storia etico-culturale e impedire l’inevitabile disgregazione del tessuto sociale. Ecco allora la mitopoiesi neo-liberale e neo democratica, le cui centrali di elaborazione sono le università statunitensi e il cui megafono è Hollywood, che genera una sua dottrina, un suo catechismo e infine, poiché si tratta pur sempre di ideologie e miti politici, un suo nemico.

Naturalmente il nemico non può che essere il fascismo, ossia il collettore di tutte le fantasie apocalittiche e di tutti gli incubi gotici del mondo anglosassone e della sua connaturata allergia per la storia e la complessità.

Il fascismo è oggi lo strumento di caccia prediletto del sofista politico, l’esca da gettare in mezzo alle tonnare dei fridays for future, dei sindacati, del variegato mondo LGBT, degli elettorati democratici, dei salotti che contano … per fare sempre gran bottino a beneficio della conservazione dell’esistente. Perché il pastone violenza, oscurantismo, machismo, bellicismo, dittatura ha un’incredibile attrattiva per i palati poco esigenti: il fascismo è l’all you can eat della ristorazione politica, per chi ha fame di carriera, certezze e soldi… e per chi teme con tutte le possibili tremarelle i menu nuovi e la fine dei cibi spazzatura.

Questo si sa.

Meno scontato è che, qui da noi, qualcuno, a destra, sia disposto a entrare in quest’ottovolante del pensiero e della politica, in questo festival del girare e rigirare, del negare e rinnegare, del giurare e spergiurare concetti, posizioni, identità per smania di accreditarsi, per smania assoluta di entrare, di partecipare al banchetto nella veste di cane cui il padrone ogni tanto getta l’avanzo da spolpare.

Questo non va.

Anzitutto diciamo che c’è un martirologio da rispettare. L’antifascismo ha mietuto vittime. Tutte regolarmente rivendicate, tutte regolarmente e periodicamente insultate da qualche caporale, sergente o colonnello di qualche brigata, in qualche occasione, in qualche modo ignobile e repellente. Antifascisti no, mai, per rispetto ai morti, ma anche, certo secondariamente, ma obbligatoriamente, allo stile, a quel minimo di educazione dell’anima e dei sentimenti che chiede silenzio per il proprio dolore e lo offre al dolore altrui. E invece no. Qualcuno vuole ricordare con pubbliche cerimonie i morti altrui e accetta il vituperio sui propri. Non ci siamo!

A ciò aggiungiamo che non si violenta la storia. Che siamo stufi delle trite e ritrite versioni terzinternazionaliste del fascismo. Che i libri che ci vogliono svelare, a settant’anni di distanza, dopo sette e più volumi di De Felice, la nascosta verità sul fatto che il fascismo ha fatto tutto il male, solo il male, nient’altro che il male, sono delle sonore stronzate. E le stronzate le rimandiamo al mittente soprattutto quando le proclamano da qualche cattedra presidenziale, specializzata in luoghi comuni a sollievo e protezione delle proprie truppe.

Infine, ci soffermiamo sulla cosa stessa. Dobbiamo parlare di idee. Stando alle idee non v’è dubbio che in Italia il fascismo ha liberato la destra dalle sue cupezze, dal suo vecchiume, dal reazionarismo delle conventicole nobiliari, dal vizio sempiterno di coprire con l’alto ideale della Patria e dello Stato il privilegio, l’arroganza del ricco, l’insipienza del parvenu. Il fascismo è stata la destra costretta nel fango delle trincee della Grande Guerra a riscoprirsi popolo e nazione. Certo ci si è portati dietro un pizzico di Ottantanove (a Fiume, diceva Comisso, si respirava una permanente atmosfera da Quattordici luglio) … ma quanto si è guadagnato in verità sociale! Da quel momento durante e dopo il fascismo in Italia non c’è stato più spazio per quella destra. Il fascismo ha fatto fuori per sempre il Bacchettone. Non dovremmo forse essergli grati?

Allora che cosa vogliamo fare? Vogliamo rimanere sudditi, per pagare gli errori dei nostri antenati? Vogliamo continuare a chiedere scusa in eterno perché anche loro hanno sbagliato? Vogliamo cospargerci in eterno il capo di cenere perché l’hanno fatta grossa? O dovremmo chiedere agli inquisitori da quattro soldi – spesso pubblici – di mostrarci la fedina penale dei loro padri per constatare che proprio pulita non è? O dovremmo far presente che qualcuno con le altrui passate miserie sta cercando di coprire le proprie presenti? Perché in fondo è questo il problema: che da Robespierre in poi, il vestito dell’Umanità ha nascosto più di una crosta e il profumo dei Diritti ha coperto più di una puzza…e quindi c’è poco da accusare, pochissimi petti da gonfiare, nessun orgoglio da esibire.

La storia diceva Croce è sempre storia del presente. Ma vale anche l’inverso, per quanto qualcuno tenda negarlo: il presente è sempre un presente storico. Nella lotta politica è inutile esorcizzare il fatto che la storia è componente essenziale. Ciò non significa ammettere alcuna nostalgia. Nessuno sguardo indietro, nessun torcicollo, ma consapevolezza, studio, e una ricca cassetta degli attrezzi storica per vivere il presente in modo pieno e con piena coscienza. Nelle sedi del MSI degli anni Ottanta e Novanta qualcuno  promuoveva questo tipo di superamento della nostalgia e del gagliardetto. Non buttava il passato in discarica, non ci si esercitava alla sottomissione né al masochismo, né si pativa alcuna sindrome di stoccolma antifascista. Si osavano strade nuove, ma nessuno si è mai vergognato del proprio album di famiglia. Critici feroci di antichi errori, lo si è stati fino in fondo, ma per rivendicare nuove possibilità e rinnovate bellezze: tutto ciò che fosse storia e che potesse ancora avere una storia, come la nostra nazione, la nostra giustizia, le idee mediterranee e universali, la sfera sublime dello spirito cui la politica non può mai rinunciare ad attingere…

Un’ultima notazione. Nell’idea di politica che faticosamente ci si è sforzati di promuovere nei momenti migliori della destra vi è la necessaria connessione con la cultura e la riflessione. Non vogliamo dire, con Lenin, che un partito dev’essere l’avanguardia intellettuale di una classe sociale in lotta? Non lo diremmo mai, perché non conserviamo nessun feticcio classista. Dobbiamo però sottolineare che senza un progetto culturale non si va da nessuna parte. Un partito dev’essere avanguardia intellettuale di un movimento sociale, questo sì. Questo, però, ha due corollari: gli intellettuali devono smetterla con la loro puzza sotto il naso e cominciare a elaborare una teoria e una prassi dell’impegno (sperabilmente diversa dall’engagement salottiero e mediatico dei chierichetti di sinistra). I politici, dal canto loro, dovrebbero smettere di vedere nell’intellettuale il cacadubbi che non piglia voti. Metapolitica e politica dovrebbero cominciare a incontrarsi in un partito di militanti consapevoli e non alieni dal lavoro dello spirito. E se qualcuno continua a candidare nani e ballerine, pescando nel sottobosco dell’arrivismo piccolo/medio borghese glielo si dica e si abbia il coraggio di presentare alternative, di farsi avanti, di buttare sul piatto della bilancia, una volta tanto, il peso delle idee.

Massimo Maraviglia per vendemmietardive.blogspot.com

 

Da www.iltalebano.com

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

■ Prima Pagina di Oggi