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Dall'archivio:

“Basta sparare nel mucchio, questa non è giustizia”. La protesta della Nord interista in occasione di Inter Sheriff

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MILANO – Il messaggio girato con abbondante anticipo sui social e i canali della Curva Nord Milano 1969 era sufficientemente chiaro. Contro lo Sheriff – ossia il primo avversario che l’Inter è tornata ad affrontare tra le mura amiche  del Meazza – i fedelissimi della parte più accesa del tifo nerazzurro avrebbero protestato civilmente ma in modo duro e fermo, dopo la raffica di diffide partite dopo gli scontri di Fiorentina Inter, avvenuti fuori dal Franchi poco prima dell’inizio dell’incontro.

 

Gli scontri, peraltro, ci sono stati e sono stati documentati con dovizia di particolari dalla cronaca nazionale. E anche leggendo “L’Urlo della Nord” ossia il dispaccio ufficiale, l’house organ cartaceo che viene distribuito prima di ogni partita casalinga dell’Inter come forma di autofinanziamento, nessuno nega quanto avvenuto coi Viola, un tempo molto lontano, ormai (si parla degli anni 80), tifoseria addirittura gemellata con quella interista.

E allora il perché di questa protesta che ha portato il secondo anello verde a restare vuoto e silente per i primi venti minuti di una gara determinante per il prosieguo della Beneamata in Champions League? Così come a non appendere striscioni anche in tutto il primo anello verde?

La spiegazione viene data in modo chiaro proprio attraverso le parole riportate su L’Urlo della Nord e, più volte ribadite, dai vertici della curva.

“Le 18 diffide inferte dalla Questura di Firenze non rispondono ai principi costituzionali secondo i quali la responsabilità penale è personale, bensì, si è voluto semplicemente sparare nel mucchio”.

In sostanza, gli ultras interisti obiettano una grave ingiustizia da loro subita: la Questura non sarebbe andata a visionare eventuali filmati per capire le posizioni più o meno gravi, di chi ha preso parte alla rissa con l’opposta fazione fiorentina. Bensì si sarebbe limitata ad una sommaria perquisizione delle vetture in cui gli interisti hanno fatto ritorno in fretta e furia dopo la gazzarra, spesso finendo in auto, in cui non erano ospitati all’inizio del loro viaggio per Firenze.

“Se nella macchina dove finisci – si legge sulla fanzine della Nord – trovano un’asta di bandiera, quello magicamente si trasforma in un bastone atto ad offendere, se poi c’è una torcia ancora peggio, se infine hai arnesi di lavoro di altri, pur se inutilizzati, allora è la fine”.

E in effetti la Questura è andata giù pesante. Le pene vanno dai tre anni di diffida senza firma (quelle più leggere) agli otto anni con tripla firma. Per esser ancor più chiari significa che ogni santa volta che l’Inter gioca, il diffidato deve recarsi per ben tre volte, alla più vicina stazione dei CC e della Polizia di Stato, per sottoporsi, appunto, all’obbligo di firma. Questo per 365 giorni all’anno.

Per quelli che c’erano – lamentano gli interisti – e non hanno fatto praticamente nulla, oltre il danno anche una beffa pesantissima. Con vite anche lavorative, oltre che personali, praticamente rovinate.

Intanto, dagli ambienti ultras filtrano voci sempre più insistenti, su azioni legali e impugnazioni per cercare di contrastare questi provvedimenti sommari. Ma è chiaro che la Giustizia italiana, oltre ad avere il suo tempo, è anche assai costosa, se vuoi farti tutelare da professionisti seri e preparati.

E allora che fare? La protesta di ieri alle quali potrebbero seguirne altre, ha un significato molto chiaro: chi sbaglia deve pagare, assumendosi le proprie responsabilità, ma chi è stato tirato in mezzo, solo perché è finito sulla macchina sbagliata, deve essere riabilitato.

Un’azione di sensibilizzazione dell’opinione pubblica che vedremo se darà i suoi frutti. Gli ultras interisti, in ultima analisi, non si nascondono dietro ad un dito, ma chiedono che tutto si svolga in base a chiare e indiscutibili identificazioni dei comportamenti dei singoli autori dei gesti penalmente rilevanti.  Sparare a casaccio, in effetti, non si può chiamare giustizia…..

F.V.

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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