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Il British Museum e la rimozione dell’idea di morte – di Emanuele Torreggiani

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Quando si entra, gratuitamente – dettaglio non insignificante, al British Museum, dopo il bric a brac dei souvenir made in china, a sinistra la stele di Rosetta e subito oltre le Nereidi. Forse il più antico, dicono le spiegazioni ufficiali, monumento tomba. L’intero impianto, smontato e ricostruito, viene dalla Licia, oggi Xantos Turchia asiatica.

Stupendi corpi di donna scolpiti nel marmo, voluttuosi nei pepli che coprendone esaltano quella calda profonda intima nudità che distende appagando il compimento dell’amplesso, infatti viene voglia di incedere con la mano su quelle carni consegnate al nostro interrogativo ed anche sbigottimento: esse sono acefale, senza testa. Se ne stanno lì, in quei lunghi veli che un vento preistorico aderisce a solide cosce capaci di accucciarsi per generare ed altrettanto traversare, la struttura del muscolo è potente, camminando l’intero universo. Sono giunte sino a qui, al passo di turisti più o meno interessati, da lontananze infinite e s’impongono, mute e acefali, a cesello di un mondo scomparso e per sempre. L’assenza del capo ne aumenta il carico enigmatico. Il volto, da sempre, è l’autobiografia dell’Occidente. La sua assenza, le teste sono andate decapitate, in un corpo mimetico al femminile, incute un gotico senso di orrore. I turisti si fanno dei selfie e poi giocano montando il proprio volto su quei corpi di roseo marmo. E li spediscono ad amici in giro per il mondo. Me n’è arrivata una, tre minuti fa, da una mia conoscente, in posa cretinetta, non si offenderà, in diretta da Londra. Se ne sta lì con un berrettino a visiera con la sigla NY a far sorrisucci, che paiono smorfie, in un corpo di marmo. Non perché ella, la mia conoscente, non sia, nel volto, simmetrico. L’abito addosso al corpo, che ella indossa, quello delle Nereidi, non è più né il suo né il nostro. Eppure quei corpi, laggiù scolpiti a consolazione di una morte, furono Europa. Se c’è un’architettura significante di una continuità culturale che dalla preistoria giunge sino a noi è questo delle Nereidi. Nulla è più fondamentale della morte. Per quanto noi si creda, alcun algoritmo binario (Gottfried Leibnitz base 0 e 1), entrerà in questo regno. Nessun Big Data saprà mai dare risposta. Kurt Goedel lo pone, il tema, dichiarando che ci sono risposte impossibili per la matematica: la morte. Ma l’algoritmo non ne tiene conto e così aggira l’ostacolo. E aggirandolo obnubila il tema del dolore congiunto con il fatto attuale della morte. La morte si dà. La nostra società, eliminando la morte elimina il dolore. Che non è un sentimento occasionale ma uno stato del sentire, quindi dell’essere. E nel sentire, quindi l’essere, un suo crescere. La mia conoscente carinissima, imponendo il suo faccino aggraziato e sorridente al corpo di una nereide, stravolge un’identità culturale: quella dell’Occidente, e si consegna, inconsapevole, all’effimero. Ad un presente attuale senza passato e senza futuro regolato dalla capacità di aggirare l’ostacolo fondamentale. Una sistemica che produce la normativa, legale e democratica, per la quale, ad una Nereide vivente, la signora Giuseppina di anni novantatré, viene proibito di vivere nel suo luogo elettivo. In quell’abitato, da cui abito, abitudine, humus, che la vede nascere, amare, vivere, proliferare, seppellire e, a suo tempo morire. Non sappiamo più costruire tombe. Né per i vivi, né per i morti. La norma, la normalità, lo impedisce. 0 e1.

Emanuele Torreggiani

 

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