― pubblicità ―

Dall'archivio:

Radici in crescita, sequenza giornaliera degli accadimenti, di Ivan D’Agostini- 25 e 26 marzo

+ Segui Ticino Notizie

Ricevi le notizie prima di tutti e rimani aggiornato su quello che offre il territorio in cui vivi.

Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

Venticinquemarzo

Ogni giorno un parola, una riflessione, un momento per pensare, per riflettere. Una costante, una pazienza. Osservare, interiorizzare, elaborare, rielaborare ancora; minuto per minuto, istante per istante, che la vita è davvero un istante, un momento, come quando l’hai vista, solo per un attimo e te ne sei innamorato, che è così che sboccia l’amore, l’hai rincorsa, piano, per non far rumore, per non disturbare, vicino eri molto vicino, di fianco le hai preso la mano e l’hai accompagnata per il resto della vita.

Oggi è a questo che penso. Mi fa bene questa cosa, che appartiene all’oggi.

 

Prendo un caffè, sorseggio la dolce amara bevanda, l’unguento che risveglia la mente e nel torpore dei pensieri che effluivano dal capo mi sorge un idea: “La Determinazione dell’Oggi!”.

Penso, maledettamente ancora: Esiste l’Oggi? Il Domani? Lo Ieri?

Forse, circumnavigando il tempo potremmo trovare queste giornate, diversamente siamo costretti a risiedere solo nel presente, arrivando a negare persino l’esistenza e dello Ieri e del Domani.

Il Domani è inesistente, è come il profilo dell’orizzonte, per quanto ci si sforzi di raggiungerlo e, in questa corsa arrivare pure a fissare alcune coordinate e punti fissi per assicurarci la presa, esso, l’orizzonte, permarrà costantemente irraggiungibile. Il Domani diventa Oggi, domani, e lo stesso Oggi, si sposta a domani. Mettessimo in scatola tutti i nostri Domani, aprendoli oggi, essi si condenserebbero in un solo presente, l’Oggi.

Certamente la storia è lunga ma ci ritorneremo.

 

Proviamo a pensare allo Ieri.

Qui la faccenda si complica un pochino, ma solo perché siamo legati, narcisisticamente, al nostro spiccato senso di protagonismo, quello che in fondo ci ha permesso o costretto ad essere ciò che siamo ora. Tendiamo inevitabilmente a costruire la storia del nostro presente in base alle nostre passate esperienze, fatti che proiettiamo in fondo in un futuro inesistente, per certi versi (quanto del futuro che immaginiamo in realtà si concretizza?). Questo ci porta a costruire un Oggi sempre più complesso, elaborato, camaleontico per le necessità di adeguarsi costantemente alla variabilità peregrina e farlocca del momento del presente. Ed è qui che noi, certi e sicuri padroni del nostro io, definiamo il nostro giorno.

Così ci alziamo, compiendo il rito delle nostre abluzioni, diverse e differenti da uomo a uomo nei gesti, ma identiche nelle tipologie; ci nutriamo, ci vestiamo con l’udito della giornata che ha già iniziato il suo cammino che la porterà a disgregarsi, a frantumarsi sulle rocce del tempo, che non appartiene a nessuno, men che meno a noi.

Poi, fiduciosi nel Domani, un Istante indeterminato nel tempo e nello spazio (poiché neppure noi sapremo dove saremo), intraprendiamo la nostra corsa, un’attività che governerà l’intera giornata e sul far della sera, della notte per alcuni, ritorneremo verso il nostro nido, per la cena, l’ultima del Presente, perché Domani è un altro giorno.

E così per lungo tempo, instancabilmente e faremo questo sinché avremo voglia di credere nell’Oggi, quell’istantanea del mondo che siamo … e porremo davanti e dietro noi quella fila di Oggi, ogni giorno una parola, una riflessione, un momento per pensare, per riflettere, per amare.

 

Ventiseimarzo

Puntini, rossi, e verdi, spingono da sotto, ma ora è vero, ora non ho le traveggole, stavolta ho guardato bene, anzi meglio perché non ho voglia di fare lo stupido con me stesso; ora, ora che devo fare bene e meglio le cose che ho iniziato a fare, anche se la distrazione è estesa.

 

C’è un filo rosso, sottile sottile, che a stento viene fuori dal terriccio, certo non è dove me lo sarei aspettato, là nel “vassoio” niente, ma la pazienza è tanta e chi sa attendere sarà premiato, dicono i fatti della vita; certamente la pazienza va riposta dove pensiamo possa esserci una base, seppur minima di concretezza, ma è evidente che dare tutto quanto per scontato o, persino scommettere sull’evidenza, sia effettivamente cosa cialtronesca.

 

Chi d’altro, infatti, non scommetterebbe tutti i suoi averi se qualcuno desse loro la conferma della riuscita, anche con un rapporto di leggero vantaggio sulla vincita. Puntare dieci per avere dodici, chi non lo farebbe. Poi scatta il meccanismo della non rassegnazione. Scaviamo sempre intorno a noi trincee per nasconderci, cunicoli dove infilare le nostre teste, al riparo delle tempeste che, là sopra, smuovono non solo l’aria, ma persino le rocce.

 

E’ affascinante, molte volte, farsi invece coinvolgere dagli avvenimenti, dai turbinii che scavano nelle nostre ferite, dal freddo pungente del vento marzolino, quello che dovrebbe esserci e che invece in questo periodo pare se ne sia andato in vacanza.

Quel filo rosso è parte della mia ancora. Tengo a lui come le idee che ogni giorno coltivo nel rigagnolo dei miei ruscelli. Sassi, sabbia, marciume detritico che la montagna ha restituito nell’inverno, equilibrio precario che da lì a poco potrebbe essere piegato dalle nuove e attese precipitazioni. Pioggia che arricchirà la coltre, la scorza dura del terreno asciugato dal sole precoce della primavera. E’ per questo che curo il “vassoio”, lo nutro pure con le mie parole, dette in silenzio, nella penombra della sera.

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

■ Prima Pagina di Oggi