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Dall'archivio:

Pigne secche, aristocrazia e Fiume- di Emanuele Torreggiani

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L’aristocrazia: la destra, congiunta con l’avanguardia: la sinistra, hanno dato vita all’unica vera autentica concreta rivoluzione del ’900: Fiume. Il 12 settembre del 1919, Gabriele d’Annunzio, entra a Fiume con un migliaio di legionari. Lo zio di mio padre, Carlo, era con il Comandante. Del 1894, uscito tra gli Arditi della Grande Guerra, con una croce d’argento, rincasò. Ma quando giunse voce dell’adunata a Ronchi, in seguito dei Legionari, lasciò la moglie con un bimbo in ventre e partì. Rientrò dopo il Natale di Sangue del 1920. Quando venne bombardato, dal mare, il palazzo del governo di Fiume. Eccoci. La rivoluzione autentica: le donne votano; omosessualità e lesbismo non sono perseguite; cristianesimo, ebraismo, islamismo, hanno diritto di cittadinanza; legale il divorzio…

Nasce la libera Repubblica del Carnaro che è una “democrazia diretta che ha per “base il lavoro produttivo e come criterio organico le più larghe autonomie funzionali e locali. Essa conferma perciò la sovranità coll,ettiva di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di classe e di religione; ma riconosce maggiori diritti ai produttori e decentra, per quanto è possibile, i poteri dello Stato, onde assicurare l’armonica convivenza degli elementi che la compongono. La Costituzione garantisce inoltre a tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, l’istruzione primaria, il lavoro compensato con un minimo di salario sufficiente alla vita, l’assistenza in caso di malattia o d’involontaria disoccupazione, la pensione per la vecchiaia, l’uso dei beni legittimamente acquistati, l’inviolabilità del domicilio, l’habeas corpus, il risarcimento dei danni in caso di errore giudiziario o di abuso di potere”. Così una sintesi, esaustiva della Costituzione scritta da Alceste De Ambris e dal Comandante e promulgata nel settembre del 1920. Gli stati, tutti, europei, monarchie e vecchi merletti, impazzirono. Eraclito scrive che il destino di un uomo è nel suo carattere. Finì come doveva finire: nel sangue. Lo zio di mio padre rientrò alla sua abitazione in un paese nei pressi di Bologna: Budrio ed attese alla sua occupazione, il carpentiere. Segaligno, gran fumatore e parco di parole quanto di omissioni nutriva il silenzio suo. Come non pochi legionari non aderì al fascismo. Si tenne nel suo. Accadde nel 1932. Durante un sabato fascista ebbe una discussione con un capomanipolo: gli fece male. Si diceva che un suo pugno fosse come una pigna secca. Fu destinato a Ventotene. Mesi dopo, Dino Grandi, amico di mio nonno Aldo con il quale aveva atteso al liceo classico dei Domenicani di Bologna, passando per Budrio chiese di Carlo, il Legionario. Gli fu detto da mio nonno. Grandi, che faceva parte del gran consiglio del fascismo si adoperò affinché fosse liberato.

Non gli fu facile. Mesi dopo lo zio Carlo tornò. Raccolse moglie e figlio di pochi anni e partì per la Francia. Rientrò in Italia alla morte di Gabriele d’Annunzio. Viaggiava su di un treno piombato carico di legionari che rendevano omaggio al Comandante. Ad ogni stazione le carrozze erano circondate dai carabinieri. Cadeva il 1938. Mio padre Remo aveva diciannove anni quando lo vide, accompagnato dal suo di padre, Aldo, alla stazione di Bologna. Lo zio Carlo disse che sarebbe partito per l’Argentina che l’Europa di lì a poco sarebbe esplosa. È sepolto da qualche parte in Patagonia. Lui, sua moglie Elisa ed il figlio Gabriele che li precedette nell’oltretomba per una broncopolmonite contratta a Buenos Aires.

Scrivo questa notarella perché mio papà mi ha sempre detto, non senza una certa preoccupazione che assomiglio molto allo zio Carlo. Ed oggi, scorgendo in libreria: “Fiume – L’avventura che cambiò l’Italia” di Pier Luigi Vercesi, davvero ben scritto, lo si legge in poche ore, mi sono lasciato trasportare da queste malinconie. L’aristocrazia: la destra, congiunta con l’avanguardia: la sinistra, hanno lasciato questa politica qui di oggi. I pidocchi.

Emanuele Torreggiani

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