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Dall'archivio:

Lo spirito di un popolo

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Tutti, credo, avranno inteso che non era in corso alcuna secessione dalla penisola in tricolore. Ma una richiesta di funzioni amministrative che, a detta dei promotori, la centralità dello Stato non svolge in linea con le necessità dei territori. Rimarremo italiani, quindi, se mai lo siamo stati.

 


Non serve, è stato scritto e si scrive, riguardo il referendum lombardoveneto. Vero. Il referendum non serve. Spiega. E la spiegazione delle urne (la sintesi del popolo che si esprime nel numero) dovrebbe servire (qui il servire nel significato di essere al servizio) al fare, la dinamica, della politica che ha come obbiettivo tracciare l’indirizzo di un destino, possibilmente comune, in quanto espressione di una comunità intesa. Non so quanto accadrà. Lo dirà la capacità di comprendere della classe dirigente. Interessantissimo, oserei fondamentale, nella sua profondità antropologica, l’espressione del voto, invece. E dimostra uno scarto, che il numero esalta ma non espone, tra Lombardia e Veneto.

La Lombardia si divide tra la Milano e le città territoriali: la vasta provincia regionale. Il voto della milanesità metropolitana è minimo: 25%. Al di fuori del perimetro milanese il voto cresce in modo verticale sino al raddoppio ed in certe realtà, minime in rapporto ai grandi numeri milanesi, ma sicuramente significative, sfiora il risultato plebiscitario. E qui, si vede la frizione, tra il residente ed il nativo. Il residente poi va suddiviso tra l’abitante dei quartieri benestanti ed il residente sempre benestante di origine immigratoria. 
Il popolo emerge al di fuori la cinta muraria della città-metropoli Milano che omogenea, non più all’umile et alta Madonnina, ma al quartiere new style in cui collima il glamour delle capitali del mondo post Occidentale: il mondo secolarizzato.

Nell’urbe milanese, sia antica che post moderna, la chiamata ad una autonomia amministrativa non ha risposta. Dentro la città metropolitana insistono residenti di recente immigrazione industriale datata inizio anni ’50. I meridionali, i terroni d’antan, di seconda o terza generazione che, pur consapevoli ed integrati, vivono, e soprattutto sentono, come un tradimento delle loro radici aurorali una neo revisione e redistribuzione fiscale.

Comprensibile, in questa lettura, una astensione che ha attraversato tutti i partiti politici dischierati, in modo sibillino, sia pro che contro. Insomma, “Scarp del tennis” di Enzo Jannacci, medico chirurgo e anatomopatologo della milanesità, non si suona più all’idroscalo. Ma ecco che il dato cresce in modo esponenziale, laddove al residente subentra il nativo.

Quello, per dirla nel tono dell’umile bassa, alla Gianni Brera fu Carlo: la Lombardia ai lombardi. Dunque, omogenea la Lombardia fuori Milano. Ma la Lombardia senza Milano è indicibile. Da cui la necessità di una forte mediazione con le forze politiche, sia centrodestra che centrosinistra, in campo.
Altro scenario il Veneto. I veneti dimostrano una chiara identità di popolo e di lingua che l’omogeneo risultato referendario dichiara nei numeri espliciti. Cosa accadrà, francamente non è nelle mie disponibilità. Accade che questo referendum abbia spiegato un popolo. Alla politica dovrebbe servire il risultato per indirizzare il suo cammino. Se ci si ferma, come parrebbe, ai costi (sono quelli della democrazia), alle sperimentazioni più o meno compiute, alle dichiarazioni stereotipe di inutilità, allora sarà stato per davvero danaro sprecato e tempo perduto. Il referendum ha spiegato cosa vuole il popolo. La politica dovrebbe di conseguenza servire.

E.T.

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