― pubblicità ―

Dall'archivio:

Liceo addio, il ‘vero’ Bramante nelle parole di ET (2)

+ Segui Ticino Notizie

Ricevi le notizie prima di tutti e rimani aggiornato su quello che offre il territorio in cui vivi.

Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

Liceo addio (2)

Il sorriso
Il giudizio di un bambino è immediato e indiscutibile. (da Il Wilhelm Meister di Wolfgang Goethe)

“Siamo passati di lì per farci male”. Così cadde questa frase, sentenza inappellabile, nel corso di una conversazione limitrofa alla notte, mentre nella sala scorreva un banchetto con frastuono di voci, risa e stoviglie e rammentò a chi era intento, nell’afono silenzio conseguente, la caduta di un angelo.
Cadde questa frase. E c’era dentro, conficcato, il significato di quel passare di lì, davanti quelle mura, che oggi, in quell’indefinibile ellissi prona ai decenni, sono scarabocchiate sbaracchiate, stercate, tanto che pare siano e siano state nient’altro che plessi privi di architettonico pregio. Passare di lì era portare dappresso la gerla di quella storia, assumere piena responsabilità del destino volto alla malora. Ed era detto con l’elementare sorriso proprio del bimbo. Emergeva la frase da quel mondo sommerso, quando il cupo suono di jungla clamava al silenzio di un libro aperto, di un libro in corso…
Caduta quella frase, apparve chiaro e vero e forte quanto era stato letto, annotato, spiegato, studiato, anche sbadigliato, lì dentro: Noi non siamo responsabili di tutto il male del modo, ma siamo responsabili di fronte a tutto il male del mondo.
Ma allora si è passati di lì per anni semplicemente per provare volontario, consapevole, dolore. “Per farci male” e andare subito via, bruscamente accelerando per rimettere distanza. Abbassando però il capo.

(L’ingresso odierno del ‘nuovo’ Liceo Bramante)

Il Rapporto Bassi
Noi tutti perdemmo un mondo, il nostro mondo. (da La marcia di Radetzky di Joseph Roth)

Negli anni Sessanta stilò il rapporto sullo stato delle scuole di Magenta e del Magentino il maestro elementare Paolo Bassi, oltre il metro e novanta, magro, cranio polito, camicia bianca, cravatta, abito grigio scuro (allora il fumo di Londra, la divisa di lavoro) e uno scuffiotto di lana nera nei giorni dell’inverno, assessore democristiano alla Pubblica Istruzione in quel decennio. Era temutissimo dagli allievi per la severità asburgica, eredità della sua origine, metodico nella sua falcata lungo i corridoi silenti: un passo un metro. Ed era uomo di non comune attenzione per la sorella sempre povera delle istituzioni italiane, la scuola.
A Magenta le elementari, dedicate a Giuseppe Mazzini, erano allora allocate tutte in via IV Giugno, oggi sede del Liceo Classico “Salvatore Quasimodo”.

A lungo mi sono coricato di buon’ora…
(da Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust)
Tanti anni fa, quando nelle strade circolavano auto che si contavano sulla punta delle dita, alla fine della primavera si partiva per la gita scolastica. A piedi. In fila per due, tenendosi per mano, con il cestino, un cestino autentico di paglia, della merenda: michetta di pane, un Ciocorì (se si era stati bravi il pomeriggio appresso, altrimenti formaggio) e una bottiglietta con tappo di plastica per la spremuta fatta dalla mamma. Si andava a vedere il Naviglio a Ponte Vecchio con sosta al sacrario della Grande Guerra per preghiera ai caduti. E ancora si recitavano Le campane di San Giusto, Il testamento del Capitano. Si facevano ricerche sfogliando il Conoscere ed a ricalco sulle veline, con mano leggera, si componevano volumetti di fogli di protocollo, che poi la mamma cuciva con filo di refe, con le mappe del fronte alpino, con le divise degli alpini, degli imperi balcanici, degli irredentisti trentini, i lunghi mustacchi di Cecco Beppe, il chiodo sull’elmetto dei crucchi, il martirio di Nazario Sauro, la Grande Berta che sparava su Parigi, i dirigibili, il biplano di Francesco Baracca con il cavallino nero rampante in campo giallo, il triplano del Barone Rosso, i bersaglieri in bicicletta, le autoblindo ed i primi carri armati. Poi, in chiosa, si disegnava a mano libera l’albero isolato di Giuseppe Ungaretti ed un abbozzo di muro (Di queste case / non è rimasto / che qualche / brandello di muro…); il muro di San Michele, quel paese che i bambini s’immaginavano ancora così come descritto dal poeta, che poi si vedeva, la sera, in televisione, riassumere con voce densa l’avventura di Ulisse. “Uuulisssseee…” – egli declamava, chiamando dall’infinità dei tempi l’eroe omerico. E ancora venivano i ragazzi del ’99 nelle scuole con il tripudio di medaglie assise al petto, che si riduceva ora a scheletrico tronco ora a vaso gonfio, e i bambini, allora sull’attenti, ascoltavano le loro parole a volte difficili da comprendere nel biascico di una lingua sfuggente. Oppure s’incamminavano verso Corbetta lungo lo sterrato del fontanile Fagiolo, per raggiungere la cappellina della Madonnina miracolosa, laddove oggi, per intenderci, ci sono abitazioni e capannoni. La maestra controllava che nessuno si sfilasse il berretto col para-orecchi, che non si andasse a sguazzare nelle pozzanghere residue, che non si tirassero sassi e che, nel caracollare, non ci si facessero sgambetti. Sarà appena il caso di rivedersi tutti con i calzoni corti al ginocchio, anche in pieno inverno. Si cantava La canzone del Piave, si intonava Fra Martino. La maestra ci indicava i nomi delle cose di questa meravigliosa famiglia d’erbe e animali, così la definizione della natura che allora era il creato: pioppi, robinie, platani, cipressi, gelsi, erba medica, terre arate e grassi rosei lombrichi tra le porche, passeri, rondini, rondoni, l’ape, la vespa, il calabrone, il ragno d’acqua. Al Naviglio si vide una biscia d’acqua. Si parlò per settimane di quella testa guizzante terrorizzata dalle nostre grida. In fila per due. Merenda. Rientro. Componimento d’italiano sulla gita come compito e poi a letto tra le otto e mezza e le nove. L’occhio a bovindo della tivù in bianco e nero non era consentito al maneggio infantile dell’unico canale.

Emanuele Torreggiani

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

■ Prima Pagina di Oggi