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Genitori, di Emanuele Torreggiani (racconto breve)

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Entrando nella terrazza le aveva ceduto il passo. Aveva fatto bene a prenotare, tutti i tavoli erano occupati. Lei percorse le tavolate con lo sguardo e lì individuò subito. Là. Che bello, proprio dirimpetto la baia. I ragazzi non li avevano visti. Lui si fermò tra i tavoli. Lei si girò. Lo guardò e gli sorrise. Lo prese per mano incrociandogli le dita. Il mare era fermo. La seguì nella lieve scia del suo profumo. La sua mano gli stringeva le sue dita. Le vedeva lungo la schiena l’impronta scura del lino blu bagnato della tunica che aveva indossato. Lui stava infilando la giacca. Lei gli aveva accomodato il collo della camicia. Sarai l’unico, e aveva annuito, poi gli aveva sfiorato la guancia, la tua barba ispida biancheggia, lei disse. Mentre lei si stava sciacquando era andato a vederla. La guardò mentre si lavava la salsedine dalle ascelle, dal dorso, appoggiando il ginocchio alle piastrelle e facendo passare il getto appena tiepido tra le cosce, le natiche. Lei collimò le labbra a punta di freccia e lo colpì. Sul fondo in ceramica sedimentava la sabbia bagnata come polvere d’oro. Lei gli aveva poggiato la mano sul petto dove il cuore stava caricando sangue. Non possiamo fare tardi, i ragazzi ci aspettano, è la loro ultima sera. Frizionò i capelli castani ossidati dal sole, dal sale, li passò con un colpo di spazzola. Poi l’asciugamano sul corpo. Sulla fine dell’inverno lei li aveva tagliati cortissimi. Ho cinquant’anni, le aveva detto. Erano un impiastro di colore. Poi l’aveva guardato fisso negli occhi e non aveva detto nulla. Allora lui le aveva passato la mano sul capo. Avrebbe voluto dirle riccio, ma non lo disse. Ora i capelli le erano ricresciuti. Lui li carezzò strizzandoli e delle gocce le imperlarono sul collo rivolando lungo la schiena e dentro l’abito di lino. Ti volevo dire riccio, appena li hai tagliati. Lei si stava passando una crema sulle labbra inaridite dalla salsedine. Posò il vasetto. Lei prese la mano di lui e la posò sul suo sesso aprendogli le dita a ventaglio e premendogliele forte che gliela solcasse, e con le dita dell’altra mano trovò quello di lui e lo strinse, impugnandolo e bilanciando la forza. Lei lo guardava fisso. Dobbiamo dirci tutto. Tutto. I suoi occhi azzurri arrivavano dalla preistoria. Tutto. Lo lasciò. Andiamo dai ragazzi. Quando raggiunsero il tavolo i due ragazzi lasciarono le loro mani posate l’una sull’altra e si alzarono. Sulla baia annottava e il mare sta muovendosi. Andava così, in quella costante armonia da tempo immemore. Sedettero. I ragazzi avevano ventidue anni. A metà della notte un volo per l’America dove avrebbero atteso gli ultimi due anni di università. Biondo era suo figlio e bello, l’occhio verde, il volto simmetrico, il sorriso aperto indicava ad un candore che da qualche parte doveva pur esistere come una prateria infinita. Sedeva con la pigrizia composta di un felino. Le ragazze impazzivano per lui. L’aveva ben visto. L’amico era bruno di pelle, i lunghi capelli corvini stretti in crocchia alla nuca, l’occhio nero, fermo, il naso leggermente arcuato, mostrava l’imbarazzo di un rapace al suolo. Sull’avambraccio aveva tatuato, in lettere gotiche, Equitare, Arcum Tendere, Veritatem Dicere.


Il padre pattugliò con lo sguardo la terrazza. Sua moglie, che gli sedeva davanti, lo seguiva. Accese una sigaretta in attesa della consumazione ordinata dalla madre per tutti. Riconosceva squarci di parole che si intrecciavano in francese, inglese, tedesco, russo. E si impastavano in quell’unica coppa della notte ricolma di risate. Avrebbero potuto scoparsi tutte le ragazze. Insieme, simultaneamente, come quella stessa che da un tavolo fissava i due sbocconcellando, indifferente di quanto stavano dicendo i commensali del suo tavolo. Sua moglie, come la vide, sorrise. Era così denudata nel desiderio che le fece tenerezza. Il mare della baia ora era nero e nero il cielo. Qui è sbarcato San Paolo, disse il padre. Proprio nella sabbia della baia qui sotto di noi. Veniva dalle terre dell’Asia lì davanti, e iniziava il cammino. La sabbia, disse, lo riconoscerebbe. I ragazzi tacevano. Saremo giudicati per l’amore che è la legge, disse sua moglie, l’unica, concluse il padre. Non si guardarono ma lei lo vedeva. Quindi voi partite stanotte. Si, gli rispose il figlio, abbiamo già fatto il bagaglio e viene un mezzo a condurci in aeroporto tra circa un’ora. Ci saluteremo qui allora, disse il padre. Il cameriere rispose che non avevano champagne. I ragazzi non vollero il dolce. Non sarebbero stati capaci di mangiare ancora. Ma la moglie ordinò per lui un dolce al cucchiaio. Subito arrivò un vino bianco leggermente asprigno. Ai ragazzi non piacque ma lo bevvero. Brindarono al futuro sfiorando i calici di vetro grosso. Si alzarono. Sua moglie chiuse tra le mani il capo del figlio e lo baciò sulla fronte. Poi fece lo stesso con il ragazzo dai capelli corvini e indugiò con una carezza lungo quel viso e lo fissò negli occhi. Era una mamma. Dai tavoli qualcuno guardava la scena e sorrideva indicandoli. Lui abbracciò il figlio, sentì sotto le mani il corpo atletico e scattante che si stava rilassando. Gli disse che lo amava per quello che era. E di stare attento e di essere un bravo studente come lo era sempre stato. E di chiamare. Strinse la mano al ragazzo bruno che tremava un poco. Il tono del ragazzo quando gli disse grazie era morbido. Sciolsero la stretta. E il ragazzo, facendo un mezzo passo indietro, glielo disse tutto d’un fiato. Che era stato rinnegato da suo padre. Piangeva in silenzio.

Il ragazzo era da qualche parte, in un luogo, casa sua, che non aveva ancora lasciato, che non avrebbe mai lasciato, che l’avrebbe accompagnato come un lutto per sempre. Disse che suo padre era morto da pochi mesi, e sebbene gravissimo, suo padre perseguiva nel rifiuto. Poi fece per andarsene ma lui fermò il ragazzo mettendogli una mano sulla spalla. Sentiva nel ragazzo il sangue che gli tremava. E gli disse, la sua voce era faticosa, osservando come nella baia stava entrando una piccola barca con una piccola luce in prua che sembrava con il beccheggio della marea spegnersi e accendersi, che poteva vedere suo padre per l’amore che gli aveva dato generandolo, che doveva vedere solo quello. E che solo vedendo quell’amore loro due si sarebbe salvati. Che quell’amore gli avrebbe salvato la vita. Solo quello e niente altro. Poi lo lasciò sapendo che il ragazzo aveva compreso le parole, ma che per lui, lui il ragazzo e lui il padre, e lui stesso che le aveva dette, erano ancora parole. La piccola barca era all’ancora. I figli se n’erano andati seguiti dallo sguardo di sua moglie. Il cameriere depose la crema catalana calda davanti alla donna. Lei si alzò e si sedette di fianco al marito. Spostò piatti e stoviglie. Lui scostò un poco la seggiola. Non ce lo siamo mai detto, disse. Lei gli rispose che l’aveva ordinata per lui. Lui accese una sigaretta. I clienti stavano andando via. Da qualche parte giungeva nell’aria della brezza il battito di una discoteca lontana. Lei assaggiò la crema e disse che era buonissima, che gli sarebbe piaciuta. Lui bevve un sorso di quel vino aspro che con il fumo mesceva in amaro. Allora sua moglie si alzò e gli sedette in grembo. Ad un tavolo alcuni ragazzi, che stavano per andarsene, si diedero di gomito ridendo. Lo guardò con i suoi occhi azzurri, preistorici. La donne prese una cucchiaiata di crema e se la mise in bocca. Lei gli strinse le guance ispide di barba e si avvicinò alle labbra schiuse del marito e lo baciò infilandogli la lingua e la crema dentro la bocca e indugiando e richiamandola a lungo. I ragazzi del tavolo accanto applaudirono. Uscirono per ultimi. Attraversarono la piccola città della baia, gli stretti budelli dove si sentivano, nei grotti, risa, musiche, stoviglie.

La brezza era fresca, con refoli freddi. Le ragazze correndo per le strette vie ridevano squillando. Sono già in aeroporto, lei disse. Lui annuì. Ad un bancone che dava sulla viuzza che portava alla locanda dove alloggiavano, lei si fermò. Prendiamo un wiskey sour, lei disse. Lui annuì. Lo bevvero insieme, un sorso alla volta. Gustandolo. Era buono. Lei gli accomodò il colletto della camicia, poggiò una mano sul suo petto e con l’altra cercò la mano dell’uomo, che gliela poggiasse al fianco. Lui si lasciò guidare. Le disse che non desiderava altro. Poi, con le sue mani poggiate sul petto del marito, lei gli disse quello che avrebbero fatto nel corso della notte. Ogni parola che lei nominava era dura, precisa, casta nella sua sobria nudità.

Emanuele Torreggiani

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